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La vita di Adele. Lost in (italian) translation: note sulla ricezione de La Vie d'Adèle sul web

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Paola Guazzo e Manuela Menolascina


La nostra recensione, ampiamente critica, della Vie d'Adèlevisto in anteprima francese qualche settimana fa, ha provocato alcune discussioni interessanti e un ricco dibattito riguardante il film in sé e ben oltre. Sono infatti state toccate alcune questioni politiche, sociali e di definizione dei soggetti rappresentati. Non potendo rispondere singolarmente ai commenti, che abbiamo pubblicato integralmente in calce alla recensione (http://guazzingtonpost.blogspot.fr/2013/10/la-vie-dadele-anteprima-con-nausea.html ), abbiamo rilevato alcuni punti problematici sui quali riteniamo opportuno tornare ad esprimerci.


Ironia


All'inizio del nostro articolo abbiamo citato alcuni film (Viola di Mare, Imagine me and you e Bound) di ampia distribuzione, non autoprodotti da lesbiche. Li abbiamo citati con un'ironia che il testo sembrava indicare in termini chiari, in quanto paradigmi di produzioni di non immenso spessore, ma a nostro avviso meno foriere di stereotipi negativi e stigmatizzanti rispetto alla Vie d'Adèle. Con altrettanta ironia è stata menzionata la “consulenza lesbica” nel film Bound, che resta comunque un film molto visto e apprezzato dalle lesbiche negli anni Novanta, nel quale non sono stati rilevati notevoli punti di dissonanza con la politica di empowerment del soggetto lesbico e con la sua stessa esistenza. L'intenzione del nostro discorso era quella di far notare che il film di Kechiche rappresenta un modello postdatato anche rispetto a produzioni più commerciali e meno recenti. Non a caso, e questa volta senza nessuna ironia, abbiamo citato come periodizzazione ideale gli anni Sessanta, con chiaro riferimento a L'assassinio di sister George (1968) e Quelle due (1962).
Ozpetek, infine, è stato citato perché i suoi modelli di socializzazione risultano comunque meno stereotipati rispetto alle famiglie e alle reti di amicizie lavorative, scolastiche, politiche ecc. del film di Kechiche, che si ferma alla binarietà borghese/proletaria e a una visione politicamente deprivata delle istanze di base del movimento lgbt e dell'importante e spesso doloroso processo di coming out, adolescenziale e non. Ovviamente il cinema di Ozpetek non è stato citato come modello assoluto, ma di minor involuzione, sempre con un' ironia che il testo ci sembrava palesare con nitidezza.
Ci siamo ovviamente prese dei rischi, non essendo l'ironia un registro comunicativo molto diffuso in Italia, nemmeno fra lesbiche. E in alcuni casi abbiamo perso. Lost in translation? Sometimes.


Stereotipi e stigma


Non ci interessa dibattere con chi, in nome del recente regista consacrato a “maestro” dalla giuria di Cannes e del cosiddetto “cinema d'autore”, ha giustificato qualsiasi distorsione del corpo lesbico - e delle donne - alimentando, in modo surrettizio e non, stereotipi e stigmatizzazioni. Ci interessa parlare alle lesbiche che, in qualche modo, hanno gradito la rappresentazione, leggendola come paradigma di una storia d'amore ben raccontata.
Perché è piaciuto il siparietto di Kechiche? Poniamo semplicemente delle questioni. Voi siete passate in un tempo velocissimo dall'infatuazione per la vostra prima fidanzatina del liceo al sesso selvaggio e quasi sadomasochista con la medesima? Rilevate un'alta frequenza di pacche sul culo all'interno dei vostri rapporti sessuali fin da tempi adolescenziali? Da “a piedi nudi nel parco” a un film porno senza passare dal via, come nel gioco dell'oca o nel monopoli?
Siete passate con altrettanta fulmineità dalla passione sessuale meramente anal-genitale ad una vita domestica bloccata, in cui la vostra fidanzata butch vi fa cucinare e servire tonnellate di cibo per la mixité di amici suoi e non vostri?
L'allure butch è forse cambiata a tal punto? Noi due autrici del pezzo abbiamo età diverse (49 e 28) ma non ricordiamo butch-maschio di questo tipo. Di solito le butch, ci risulta da molte esperienze personali, fanno dono di sé sia sessualmente che affettivamente e non sono mai seconde nel preparare un'omelette, nell'occuparsi dei convivi... Ci risulta che financo gli ftm siano devoti alla vita domestica, se non altro per rompere con un maschile stereotipato ormai fuori moda, se proprio vi pare vetero parlare di politica e volete parlare solo di “tendenze”.
I Pride sono per voi soltanto simpatiche occasioni per ballare e ululare con la cumpa lgbt?
La femme, appena lievemente trascurata dalla butch per la quale ha sparecchiato caracollando su tacchi imposti, non perde l'occasione di farsela con il primo scemetto di turno?
La butch, scoperto il tradimento, sospetta per prima cosa orridi rapporti orali etero in macchina? Ha questo chiodo fisso, dettato da una incontrovertibile invidia penis?La lettura freudiana di Teresa de Lauretis ha portato tutto questo scompiglio nella vita di coppia?
Forse l'atroce sospetto di avoir sucé dans la voiture (sic)è stato omesso nella versione italiana? La butch, tradita, immediatamente mette su famiglia con una calasciona incinta e non vuole sapere più niente del suo cosiddetto grande amore? Ma Baglioni, dov'è?
Invita l'ex grande amore al vernissage dei suoi quadri, dove tra l'altro viene rappresentata in un mènage à trois con la nuova “mogliettina”, solo per farla sukare?
Se avete risposto sì alla maggior parte di queste domande, la Vita di Adele è il film-vita per voi. Libere tutte di essere infelici e umiliate, nonché di fregiarvi comunque di rappresentazioni consacrate dall'industria del grande cinema globalizzato, credendo di vivere grandi amori e passioni incancellabili al ritmo di pacche sul culo.
A noi il film è sembrato incoraggiare solo l'incontenibile, debordante e deformante rappresentazione di uno stigma che ben può proliferare in una società itagliana mangiante pasta Barilla.
Tra l'altro, lo spaghetto alla bolognese è un leit motiv dei pranzi di Adele. E non è assolutamente all'altezza delle “tagliatelle di nonna Pina” della nostra tradizione italiana, che ha prodotto film di ben maggiore qualità estetica e politica, come Il padre delle spose con Lino Banfi. Stavolta lo diciamo senza nessuna ironia.


Osservazioni romane


La vie d'Adèleè stato l'unico film a tematica lesbica recensito positivamente dall' “Osservatore romano”, celebrato come sinfonia sull'adolescenza e sfolgorio di passioni che diventano “naturali” e accettabili socialmente, affermando il trionfo di un'eterosessualità obbligatoria auspicabile dal papato, anche in versione Francesco I.


Link


Per comprendere l' “adattamento” di Kechiche vi rimandiamo al blog dell'autrice del fumetto da cui è stato, in parte, tratto la Vie d'Adèle http://www.juliemaroh.com/2013/05/27/le-bleu-dadele/ e alla sua recensione su questo stesso blog http://guazzingtonpost.blogspot.fr/2013/10/il-blu-e-un-colore-caldo-da-cui-e-stato.html. Sul blog di Maroh è disponibile anche una traduzione inglese del suo pensiero, per le non francofone. Per le non anglofone vedi la traduzione italiana https://femminismi.wordpress.com/2013/07/30/la-vie-dadele-in-italiano-parla-lautrice/




Auspici


Parlare di rappresentazione ed autorappresentazione lesbica nel cinema è comunque un'esperienza interessante. Speriamo che il coinvolgimento non si esaurisca con il dibattito su Kechiche. Sarebbe triste. Ci sono molte cose da dire in termini diversi e più appropriati, parole e immagini che vanno ben oltre i fantasmi autoriali e un'operazione di marketing sulla nostra “pelle”.
Forse ad alcune la vita di Adele è piaciuta perché troppo spesso non c'è altro e il fantasma dell'invisibilità può indurre all'accettazione dello status quoe talora alla celebrazione di immagini sfasate rispetto al vissuto. Noi vogliamo altro. Noi vogliamo l'altra.



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