di Paola Guazzo
Ho riflettuto un po', prima di scriverne. Forse perché al cinema mi sono trovata a pensare, mentre scorrevano ripetitivamente le scene e i clienti:“Ecco l'anti-vie d'Adèle”. E mi sono poi, però, messa a ponderare la validità di una contrapposizione di questo tipo: se fosse il caso di fare il gioco film d'autore contro film d'autore, se questo non potesse sembrare una forma di coazione alla legittimazione dell'affettività e della sessualità femminile attraverso la lente – comunque deformante – dell'autorialità dei maitres.
Tuttavia, dopo il grande dibattito su La vie d'Adèle , non sempre di stile esemplare e qualche volta un po' troppo ad personam per i miei gusti (vedi commenti su questo blog, anche), comunque vivace e partecipato al di là di ogni aspettativa, mi sono convinta che anche i prodotti autoriali più noti e diffusi possono diventare strumenti di riflessione lesbica e femminista. Al di là degli intenti dei “maestri”, esiste l'oggetto su cui si esplica la forza – o la debolezza – del soggetto interpretante (noi).
Ben venga un altro exemplum, un'altra campionatura di mondo femminile, su cui esercitare lo sguardo alla ricerca di altre prospettive, mi sono detta, e mi sono messa a scrivere.
( E inoltre, lo confesso, anche se francamente me ne infischio dei sedicenti maestri e guardo molti film autoprodotti da donne e lesbiche, Ozon mi piace. È ozono. E meriterebbe comunque il titolo di “maestr*” anche solo per il bacio e la pomiciata tra Fanny Ardant e Catherine Deneuve in Otto donne e un mistero ).
Di Giovane e Bella, un film dove l'ozono brucia e stordisce, bisognerebbe parlare con la rude franchezza di una recensione non all'italiana, cioè non generica, diplomatica, estetizzante.
Non illudetevi di vedere olgettine, Rubine, rubacuorine kattivine attaccate ai cellulari e con una rete di parenti-serpenti pariolini pronti a tutto. Sarebbe troppo facile. Tristissimo, ma banale. E non direbbe nulla se non qualcosa di superficiale, di fronte al quale il noto moralismo nazionale potrebbe come al solito dare il meglio di sé.
No. Giovane e Bellaè il Trainspotting della prostituzione giovanile.
Dice bello chiaro che in un mondo dove il corpo è solo un ricettacolo dello sguardo e del pene altrui tanto vale non giocare al ribasso. Non si lascia prendere il proprio corpo senza adeguate contropartite, senza acquisirne un'accumulazione di soldi (mai spesi, solo contemplati di tanto in tanto) e di potere (molto più interessante, per la protagonista del film).
Ogni altra mossa orientata ad altri sfruttamenti di sé e del corpo è deteriore rispetto all'atto di coscienza che è per Lea la prostituzione; sotto le mentite spoglie di “fidanzatini” che non scopano affatto in modo diverso dai clienti ci sono i markerdell'ingresso nel mondo della “normalità”eterosessuale, che è solo una forma di prostituzione meno cosciente. Qui siamo oltre lajeune fille di Tiqqun, troppo genericamente asessuata, torniamo invece con un nuovo focus su Kate Millett, su Valerie Solanas.
In questo risiede il potenziale rivoluzionario del film: la prostituzione come rottura dello schema serva-padrone dell'eterosessualità obbligatoria.
Certo, la rottura di questo schema non porta ancora a un rovesciamento attivo dei termini del potere, bensì alla “coscienza infelice”: Lea che vagola nel vuoto degli alberghi e delle auto, padroneggiando un gioco che non è, però, mai il suo. Nuda e cruda, con un corpo che non appare mai veramente toccato, pur nella crudezza dei rapporti (girati senza alcun autocompiacimento da “maitr(esse)” da parte del regista, con una ricerca di oggettività non morbosa, rara ).
Altri corpi, altri rapporti, balenano, sembrano a tratti essere possibili, rompono la corrente dell'età, del “corpo bello” e del ruolo. Sono quelli, in momenti diversi, di un cliente anziano e di sua moglie.