29-03-2013 - Vari - Alessandra Farkas |
NOZZE GAY, PER IL TIME È GIÀ VITTORIA |
Usa, destra divisa sulle nozze gay - Francia, nozze gay: sì dell’Assemblea nazionale |
da Corriere della Sera ![]() Diritti civili, la mappa di un'America divisa Giudici verso il sì alle nozze gay, ma alcuni Stati limitano l'interruzione di gravidanza NEW YORK — Il nome, Stati Uniti d'America, suggerisce coesione e uniformità d'intenti ma sul campo dei diritti la grande democrazia americana non potrebbero essere più divisa e disuguale. Mentre, sulla scia degli Stati progressisti del Nordest, la Corte Suprema di Washington si appresta a spianare la strada alle nozze gay anche a livello federale, un numero crescente di Stati repubblicani è intento a invertire le lancette dell'orologio. A catturare lo Zeitgeist del Paese è l'autorevole rivista Time, che ieri ha deciso di uscire con una doppia copertina: in una si baciano due donne, nell'altra due uomini, sotto al titolo «I matrimoni gay in America hanno già vinto». Un ottimismo ispirato dai nove sommi giudici della Corte Suprema. Chiamato a esaminare due ricorsi presentati da alcune coppie gay — contro il divieto dei matrimoni gay introdotto in California da un referendum e contro il Defense of Marriage Act del 1996 che impedisce al governo federale di riconoscere le nozze gay legalizzate in nove Stati — il più alto tribunale del Paese ha espresso dubbi sulla costituzionalità delle due leggi. Persino il giudice Anthony Kennedy, il moderato considerato l'ago della bilancia della Corte, ha detto che queste interdizioni «non promuovono una uniformità nel trattamento dei cittadini». Ma sullo stesso numero di Time spicca anche il caso Nord Dakota. Quarant'anni dopo la storica sentenza della Corte Suprema Roe vs. Wade che nel 1973 legalizzò l'aborto, il governatore dello Stato Jack Dalrymple, ha firmato una delle leggi più rigide al mondo, che vieta la procedura «se si può sentire il battito cardiaco del feto, a circa sei settimane di gravidanza». Ovvero quando molte donne non hanno ancora scoperto di essere incinte. La norma varata dal governatore repubblicano non ammette l'interruzione di gravidanza neppure in caso di stupro o di difetti genetici del feto, come la sindrome di Down. E se non bastasse, venerdì scorso il Nord Dakota è diventato il primo stato Usa a varare il cosiddetto «fetal personhood amendment», che accorda pieni diritti legali «di individuo» all'embrione, dal momento stesso della fecondazione. Se gli elettori lo approveranno mediante referendum alle elezioni di mid-term del novembre 2014, il Nord Dakota diventerà il primo Stato dell'Unione ad emendare la propria costituzione per vietare l'aborto anche in caso di stupro, incesto e pericolo di vita per la madre. «Gli oppositori dell'aborto stanno lavorando con metodo e pazienza da 40 anni per erodere questo diritto", mette in guardia Andrew Rosenthal, capo della pagina degli editoriali del New York Times secondo cui è solo questione di tempo «prima che la questione ripiombi di fronte alla Corte Suprema». Ma l'aborto non è l'unico diritto a rischio oggi per milioni di donne americane. «Quarantadue Stati hanno introdotto leggi che limitano l'accesso alla medicina riproduttiva», punta il dito Cecile Richards, capo di Planned Parenthood, organizzazione non profit che fornisce assistenza medica a basso costo a milioni di donne indigenti ma invisa alla destra perché il 3% dei suoi servizi sono aborti. E aggiunge: «Vengono negati servizi essenziali quali mammografie, contraccettivi e cure antitumorali». Una battaglia senza fine, quella dei diritti civili in America, che i politici più conservatori vorrebbero riportare nell'ambito dei singoli stati. «Le corti e il Congresso non devono interferire con il diritto degli stati di stabilire la propria agenda —, teorizza Tim Wildmon, presidente dell'influente gruppo conservatore American Family Wildmon —. Se vuoi essere una coppia omosessuale sposata, trasloca in uno Stato che ti accetta». Alessandra Farkas --------------- La battaglia dell'Europa per le libertà «arcobaleno» «Ci riuniamo a Parigi, in occasione della Conferenza sui diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e trans (Lgbt) in Europa, per riaffermare i valori universali di libertà e di rispetto delle differenze individuali». Così mercoledì scorso in una lettera su Libération e Le Soir la ministra italiana del lavoro Elsa Fornero, la ministra belga delle Pari opportunità e degli Interni Joëlle Milquet, e la ministra francese per i diritti delle donne Najat Vallaud-Belkacem hanno dichiarato a chiare lettere tutto il loro impegno perché finisca ogni discriminazione contro le persone LGTB: «Nessuno può ignorare che oggi essere omosessuali è un rischio nella maggior parte dei paesi del mondo — si legge nel testo —. Gli omosessuali sono ancora perseguitati e repressi come se fossero dei criminali o dei malati, senza tener conto di quella dignità degli esseri umani che abbiamo messo in cima alla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo». Per questo ieri a Parigi si sono riuniti, su iniziativa della Francia e della Commissione europea con l'appoggio del governo italiano, le delegazioni di 56 Stati europei con l'intenzione di proporre «una strategia europea contro le discriminazioni omofobe». Alla Conferenza erano presenti anche numerosi attivisti per i diritti delle persone Lgbt. «Il nostro obiettivo è arrivare a una risoluzione comune da presentare alle Nazioni Unite che depenalizzi l'omosessualità a livello universale», ha spiegato Belkacem. «L'Europa — ha ribadito Kathleen Lynch, ministra irlandese per l'Eguaglianza e presidente di turno Ue — può farsi portabandiera di questa battaglia». L'iniziativa europea non è isolata. Quasi in contemporanea con Parigi, una conferenza asiatica si è tenuta a Kathmandu e una conferenza americana si terrà presto a Brasilia. Ad aprile ad Oslo ci sarà una Conferenza finale per decidere le prossime mosse. Per Fornero, Belkacem e Milquet bisogna agire a tre livelli: «strategie nazionali», «impegno europeo», azione «nel quadro delle Nazioni Unite». Seguendo questa linea Fornero ha impostato un lavoro di collaborazione con le associazioni italiane che ha portato alla stesura della prima strategia nazionale Lgbt, presentata a Roma il 14 febbraio scorso, contro le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere. «La speranza — ha detto la ministra — è che sia il Parlamento a pronunciarsi al più presto su una materia così delicata che riguarda i diritti umani». Monica Ricci Sargentini =============================== da Repubblica.it ![]() ================================ da La Repubblica ![]() Corte suprema vicina al sì. E Time fa la copertina ALBERTO FLORES D'ARCAIS NEW YORK — La sentenza è attesa per giugno, ma un via libera della Corte Suprema ai matrimoni gay diventa adesso una concreta possibilità. I “giudici supremi” si sono dedicati ai due casi che potrebbero portare a una sentenza storica per i diritti civili negli Stati Uniti. Il primo, presentato da due coppie omosessuali contro la “Proposition 8”, il referendum con cui la California nel 2008 annullò 18mila matrimoni gay. Il secondo (United States vs. Windsor), presentato da Edith Windsor, una vedova di 83 anni, che ha fatto ricorso contro il “Defense of Marriage Act” (Doma), la legge federale introdotta da Bill Clinton nel 1996 che definisce il matrimonio esclusivamente come «l’unione tra un uomo e una donna». L’ex presidente democratico l’ha già pubblicamente rinnegata, Obama in un’intervista al canale in lingua spagnola Telemundo è stato esplicito: «Non tutti sono d’accordo che coppie dello stesso sesso possano sposarsi, ma di fronte alla legge, come sancisce la nostra Costituzione, tutti sono eguali». Il presidente, che si era dichiarato favorevole alle nozze gay già dal maggio 2012 («la decisione deve essere lasciata agli Stati») , è spalleggiato anche al Congresso da un numero crescente di senatori e deputati. Tra cui, caso che ha fatto molto discutere, quello del repubblicano Rob Portman – un paladino dei matrimoni tradizionali - che ha cambiato idea dopo che il figlio si è dichiarato pubblicamente omosessuale. A decidere sarà però la Corte Suprema. Dei nove giudici quattro sono conservatori (scelti da Reagan, Bush padre e Bush figlio), quattro “liberal” (nominati da Clinton e Obama) e il nono, Anthony Kennedy, anche se repubblicano (lo nominò Reagan) negli ultimi anni ha spesso votato insieme all’ala progressista. Sarà lui ancora una volta l’ago della bilancia, anche se non si escludono altre sorprese. Sul primo caso (Proposition 8) non è detto che Corte dia ragione a chi ha fatto ricorso. Nel corso dell’udienza di lunedì diversi giudici (sia conservatori che liberal) hanno espresso dubbi sul fatto che sia loro compito intervenire. Sul Doma invece gli schieramenti sembrano chiari. Dalle domande rivolte agli avvocati il fatto che Kennedy si schieri con i liberal viene dato quasi per scontato. L’abolizione del Doma non significa che negli Stati Uniti il matrimonio gay possa diventare legale ovunque. Dichiarandolo incostituzionale i giudici aprirebbero però le porte dei benefici federali (assicurazione sanitaria, esenzioni fiscali, eredità) a tutte le coppie omosessuali sposate, rendendoli “eguali” alle coppie formate da uomini e donne. E sarebbe comunque un segnale importante anche per quegli Stati dove le nozze gay continuano ad essere fuorilegge. Sui media i matrimoni gay hanno già vinto. Il settimanale Time ha già pronta una doppia copertina, in una si baciano due donne, nell’altra due uomini. Il titolo è significativo: “La Corte Suprema non ha ancora deciso, l’America sì”. Sul suo blog nel sito del New Yorker, Jeffrey Tobin (uno dei più noti avvocati americani, analista “legale” della Cnn) è certo: «La questione sulla parità dei diritti nei matrimoni per tutti gli americani, non è se passerà, ma quando. Il Paese è cambiato, non tornerà mai al passato». Il Defense of marriage act del 1996 definisce matrimonio solo l’unione tra un uomo e una donna LA CORTE La Corte Suprema vota a giugno ma già ora 5 giudici su 9 propendono per modifiche SCHIERATO Fra i senatori diventati pro nozze gay da poco, c’è Rob Portman repubblicano e con un figlio gay ============================= da Il Secolo Decimonono Nozze gay, per il Time è già vittoria Usa, destra divisa sulle nozze gay - Francia, nozze gay: sì dell’Assemblea nazionale New York - Il matrimonio tra coppie dello stesso sesso ha già vinto. Non c’è dubbio per l’autorevole rivista Time, che ha deciso di uscire con una doppia copertina: in una si baciano due donne, nell’altra due uomini. «La Corte Suprema - recita il sottotitolo - non ha ancora preso una decisione, ma l’America sì». Poi in lungo articolo si sottolinea come oramai i tempi stanno cambiando e come non è lontano il giorno in cui le coppie gay potranno sposarsi ovunque in America. «Secondo un’analisi bipartisan - si legge - i sondaggi dello scorso novembre hanno mostrato come l’83% degli americani ritiene che tra cinque o dieci anni le unioni gay saranno legali in tutto il Paese». Inoltre, secondo un’indagine recente del Pew Research Center, un americano su sette ha dichiarato che le proprie iniziali resistenze contro i matrimoni gay sono del tutto cadute. La Corte Suprema degli Stati Uniti è a un passo da una svolta storica: abrogare la legge che riconosce solo il matrimonio tra uomo e donna. E che quindi esclude dai benefici riconosciuti a livello federale le coppie omosessuali, quelle sposate in uno dei nove Stati Usa in cui le nozze gay sono legali. L’attesissima udienza, seguita a Washington da migliaia di persone radunatesi davanti all’edificio del massimo organo giudiziario, è durata circa due ore. Due ore in cui si sono confrontati gli agguerriti sostenitori del matrimonio tradizionale e quelli che sperano si affermi, una volta per tutte, il principio di uguaglianza tra nozze eterosessuali e nozze gay. Dentro l’aula i nove “saggi” hanno ascoltato le argomentazioni dei favorevoli e dei contrari al “Defence of Marriage Act” (Doma), firmato nel 1996 da quel Bill Clinton che oggi si schiera contro la legge. Hanno ascoltato anche l’avvocato dello Stato che ha ribadito la linea dell’amministrazione Obama per la quale la legge è incostituzionale. E la maggioranza dei giudici - per l’esattezza cinque - ha espresso forti dubbi proprio sulla costituzionalità del provvedimento, sollevando perplessità sul fatto che sia la legge federale a dover dare una definizione di matrimonio. Definizione che invece dovrebbe spettare ai singoli Stati. «Il Doma, nel definire matrimonio quello tra uomo e donna, rischia di essere in contrasto con le leggi statali», con le leggi di quegli Stati che riconoscono alle persone dello stesso sesso il diritto di contrarre matrimonio, ha sottolineato il giudice di nomina repubblicana Anthony Kennedy. Schierandosi così con i quattro colleghi liberal e facendo pendere l’ago della bilancia dalla parte di chi vuole abrogare o riscrivere la norma federale. Dunque, se la Corte dovesse decidere sulla base delle indicazioni emerse dall’udienza, non si tratterebbe di legalizzare le nozze gay in America, ma di aprire la strada comunque auspicata da migliaia di coppie gay sposate: il riconoscimento che anche un partner omosessuale può godere di diritti normalmente riconosciuti all’interno del matrimonio tradizionale. Come l’assicurazione sanitaria, le esenzioni fiscali del caso - anche quelle legate ai figli - o i diritti legati alla legge di successione. «È andata benissimo. Non ho percepito alcuna ostilità da parte dei giudici», ha esultato uscendo dalla Corte l’ottantatreenne paladina dei diritti dei gay, Edith Winsor, presente nell’aula in cui si è svolta l’udienza. Del resto, tutti i principali media americani si dicono convinti come oramai quella svolta che solo pochi anni fa sembrava impossibile si stia per realizzare. Tra tutti il sito Politico che afferma: «Il Doma è sul letto di morte». Tutto dipenderà non solo dal giudice Kennedy, ma anche dal presidente della Corte, John Roberts - anch’egli di nomina conservatrice - che spesso sui casi più controversi ha finito per votare con i colleghi liberal. Come è successo col sì alla riforma sanitaria del presidente Obama. Il pronunciamento della Corte è previsto non prima di giugno. |
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Usa verso i matrimoni gay, Francia anche - e l'Italia? E' 'sta acqua qua?
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