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"Non siamo insensibili al grido di dolore... "

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Scrivo e non mi illudo. Non penso che il mio discorso interessi il pubblico social-lgbtq sempre pronto, inclusi falsi profili e troll, ad eviscerare casi eclatanti e lombrosiani come la potatura dei rizomi di patata sulla pagina di un'associazione lesbica sedicente radicale e avente sede ormai solo nel Ridotto Alpino della Valtellina, con somma gioia delle Alpenjäger di Alice Weidel e cori garruli di bimbi nati da sperma anonimo e utero di non dichiarata proprietà.
Queste righe hanno coscienza della propria marginalità, meno del fatto che ciò che si autostatuisce come focale lo sia poi davvero. Ma fra le barbare malghe, si sa, tutto può accadere, anche senza scomodare Heidegger, anche solo mangiando patate e sorseggiando ebeti una birretta.

Queste righe non contengono la formula che mondi possa aprirvi, ovvero la moratoria internazionale delle pratiche di gestazione per altre-i. Pratiche che non mi hanno mai vista, come la maggioranza delle lesbiche che vivono fuori dal Ridotto Alpino, nė fra le  fantasmatiche fautrici neoliberiste, nė fra le sedicenti radicali dell'ultim'ora, che vivono consacrando ogni residuo flatus vocis a siffatta causa. Causa radicale? Con buona pace del pensiero di chi ha visto nel riduzionismo materno un effetto dell'eterosessualità obbligatoria e non l'obiettivo divorante su cui focalizzare esistenze lesbiche. Esistenze paradossali perché confinate in difesa di un discorso che le riguarda molto meno rispetto ad altri soggetti, ma su cui alcune contano solo per essere nominate in un universo che pare interessarsi solo di uteri? Senza scomodare Monique Wittig,  Rosa Luxemburg avrebbe apprezzato? No. I travestimenti  ideologici sono trappole che strozzano chi le ha concepite, altro che radicalismo!

Non scrivo per definire, ribadire o puntualizzare. Non lo si può fare di fronte alle sedicenti radicali last minute, ma nemmeno di fronte a chi parte col suo politichese e l'intento ovvio di spartirsi le spoglie extravaltellinesi di un'associazione che, in un tempo ormai remoto, rappresentò momenti cruciali di visibilità, politica e cultura. Non scrivo nemmeno perché  mi interessino le polemiche di essenzialismo versus costruzionismo (ė di un terzo termine che abbiamo bisogno, mi appare evidente).
Scrivo perché, come Vittorio Emanuele II (sic), "non sono insensibile al grido di dolore" e nel contempo "percossa e attonita al nunzio sto": non abbiamo più nuclei associativi lesbici nazionali per me degni di tale nome.
Chi pretendeva di rappresentarci è naufragata lentamente per anni, finendo poi con il botto di bottiglie di prosecco nell'ultimo tango sul suo Titanic di titanismi tristi. C'est fini, fra sputi non su Hegel, ma su se stessa e sulle proprie radici, che parlavano anche di queer, di transessualità, di aperture teoriche assolutamente sconosciute alle snoq locali.

Non sono insensibile al grido di dolore che da ogni parte non valtellinese d'Italia giunge verso un volgo disperso che nome non ha ( anomiche, innominate, innominabili... ). A volte il grido di dolore prende i tratti dell'ironia, ma è sempre scheggia, assenza non voluta, ricordo, desiderio non sopito di una nuova comunità.

Non ho formule per riaprire discorsi che non mi appartengono, non ho mai amato chi cela il proprio solipsismo in gesti politici solo apparentemente  eclatanti come quello del sedicente radicalismo lesbico anti-gpa. Il vuoto che la capziosità quasi insultante dei riferimenti vuole celare cresce ogni giorno, in una spirale che porta al più grande teatro dell'assurdo mai sperimentato da un movimento lesbico.
Ha da passà a nuttata?
Buon fine 17.










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