01-05-2013 - La Repubblica - GIUSEPPE MONTESANO |
IL PAPA DANDY - L’EUROPA NEL CAOS IL ROMANZO PROFETICO SCRITTO UN SECOLO FA |
Il ritorno di “Adriano VII” di Baron Corvo, capolavoro fantapolitico su un pontefice assetato di potere |
![]() Adriano VII di Baron Corvo, alias Frederick Rolfe (Beat, pagg. 377, euro 14,90). L’autore nacque in Inghilterra nel 1860. Fotografo pittore e scrittore, ebbe vita avventurosa. Affascinato dal cristianesimo, tentò di farsi prete, ma fu respinto perché omosessuale. Rincorso dai debitori, si rifugiò a Venezia dove morì in miseria nel 1913 Che Vittorio Emanuele III fosse uno dei quattro uomini più intelligenti del mondo non lo sapeva nemmeno lui stesso: ma fu quello che affermò Frederick William Serafino Austin Lewis Mary Rolfe, aspirante prete e scrittore fantastico soprannominatosi Baron Corvo, nato nel 1860 in Inghilterra e morto a Venezia nel 1913. Per la verità Baron Corvo non sostenne in prima persona la sua teoria sull’intelligenza del baffuto re d’Italia, ma per renderla più esplosiva la fece esporre a un Papa, quell’Adriano VII inventato da lui che dà il titolo a un romanzo ora pubblicato da Beat. L’Europa di fine Ottocento è caotica e anarcoide, ma una rocambolesca serie di vicende fa salire al soglio pontificio un oscuro e bizzarro inglese chiamato George Arthur Rose: povero ma più esteta di Oscar Wilde, dedito a meditazioni sulla bellezza e ad arrotolarsi sigarette, ossessionato da invisibili nemici e con alle spalle un lavoro di segretario per un socialista, Rose, che veste come un operaio, diventa Papa con il nome di Adriano VII e mette ordine nella caotica Europa creando un Impero del Nord guidato dall’imperatore Guglielmo di Prussia e un Impero del Sud guidato dalla quarta intelligenza mondiale ovvero il re d’Italia. Completata la sua missione, Adriano VII viene ucciso da un anarchico perfido e meschino, ma soprattutto colpevole di grave delitto estetico: indossa un abito non su misura comprato ai grandi magazzini. E nel corso del libro l’Adriano VII di Rolfe non solo salva l’Europa, ma beve litri di panna fresca e scrive scomuniche contro i suoi nemici, partorisce encicliche in cui ordina di tornare alla Chiesa del lusso e fissa con passione i suoi paggetti imberbi gareggiare in strani tornei, definisce i socialisti dei ladri, ma fa scolpire a uno spiantato artista socialista un Cristo crocifisso con la testa di Apollo e il corpo di un lottatore greco. Perché in realtà il Rose che diventa Papa è la copia esatta del suo creatore, Frederick Rolfe. Frederick Serafino Rolfe fu fin da bambino affascinato dalla Chiesa; a quattordici anni si fece tatuare una croce sul petto; fu protetto dalla duchessa Sforza-Cesarini, si convertì al cattolicesimo e tentò di farsi prete, ma fu cacciato dal St. Mary College per motivi legati alle sue amicizie particolari maschili e per l’abitudine, che non perse mai, di rivolgersi con arroganza ai superiori; decise di andare a Roma, ma anche lì fu cacciato dallo Scotts College: la Chiesa che adorava non voleva proprio saperne di padre Serafino. Lui intanto dipingeva quadri come San Giorgio e il Drago, dove il Santo era un seminudo e palestrato proletario; ogni tanto abbandonava una città perché si era indebitato con troppa gente, e per di più la insultava; ebbe un discreto successo come fotografo di nudi maschili alla maniera di Wilhelm von Gloeden, che ritraeva pastorelli e zolfatari siciliani in pose da apolli e satiri; diventò segretario di un socialista inglese e fu messo a capo di un giornale finché non andò a finire, per i debiti, in una workhouse, una prigione per insolventi. E proprio lì cominciò a scrivere seriamente, passando da poemi ultradecadenti a scritti sul feudalesimo, da romanzi sui Borgia omosessuali a lettere in cui attaccava il Papa, e inventando una prosa sconsiderata e divertentissima che è quella che vive in Adriano VII, il suo sosia trionfante. L’Adriano VII di Rolfe è una sorta di Dorian Gray colpito dalla mania di grandezza ma che si finge ascetico, un materialista assoluto che recita da assoluto metafisico, un osservatore pignolo dei rituali e uno scanzonato plebeo che non ha paura di fantasticare una spartizione dell’Europa che forse non dispiacerebbe alla cancelliera Merkel: non è delizioso l’impero del Nord guidato dalla Germania? Un po’ meno delizioso, è vero, è l’impero del Sud guidato da un qualche calvo imperatorello nostrano: ma si sa, la fantapolitica non conosce limiti, e ama il kitsch. La libertà che Rolfe si prende con lo stile è stupefacente, quasi come se un Baudelaire gay fosse diretto da Visconti in un film a colori, e i cartoon di Miyazaki si ispirassero alla Salomé di Wilde e al bacio di Klimt, e la forma romanzesca è trattata da Rolfe senza alcun riguardo: il romanzo, per lui, è un Vittoriale postmoderno e Pop, ci si può ficcare di tutto. Ma la fine del Baron Corvo non fu nello stile del suo Adriano. Arrivato a Venezia nel 1908 cominciò a scroccare soldi ai soliti aristocratici e regine e benefattori, e oltre ad andare a caccia di ragazzotti con cui consumare i suoi festini, Rolfe tentò di convincere un mercante inglese a dargli uno stipendio per procurargli ragazzi nerboruti, cosa che Charles Masson Fox non fidandosi evitò di fare, per cui Rolfe dovette passare gli ultimi mesi della sua vita in una gondola mezza sfasciata, dove morì per un arresto cardiaco. L’uomo che in un suo quadro su Guglielmo di Norwich aveva dipinto la testa del santo con la propria faccia, e aveva dato ancora la sua faccia ai 149 uomini che accompagnavano il santo al funerale; l’uomo che aveva accusato la Chiesa di essere abietta per non averlo fatto prete; l’uomo che si era immaginato come Papa e si era fatto fotografare vestito da cardinale, morì da solo, in completa miseria. Il lusso e l’eccesso li sognò solo nelle frasi incastonate di pietre preziose e falpalà dei suoi romanzi, ma seppe sognare in grande. |
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Frederick Rolfe e il ritratto del papa dandy
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