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Dis-parità, in fondo è tutto così semplice...

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Antonio Soggia 


L'esclusione della parità di genere dall'Italicum rende una legge elettorale concepita in spregio del principio di rappresentanza ancora più indigesta. L'art. 3 e l'art. 51 della Costituzione parlano chiaro, ci sarebbe stato poco da discutere. 
E non è vero che bastano le preferenze: io penso che siano necessarie, per garantire una reale libertà di voto all'elettore, ma non risolvono il problema delle pari opportunità tra uomini e donne nell'accesso alle cariche elettive. Basta guardare alla Sardegna, dove il Consiglio regionale è stato rinnovato per intero con le preferenze (non c'è il listino bloccato): su 60 eletti, solo 4 sono donne (il 6.7%).

Due cose mi vengono in mente.
In tutto il mondo la destra se la prende con le cosiddette "azioni positive" o affirmative actions, per esempio quelle misure cogenti che negli Stati Uniti servono a favorire l'accesso delle minoranze razziali ai livelli più alti degli studi. Anche in quel caso, si invoca la violazione del principio del "merito". Non è tanto diverso da quanto si sente dire sulle politiche sociali che, a detta dei conservatori, premierebbero pigri e incapaci. Ecco: la retorica del merito qui da noi ha colonizzato uno spazio politico che si estende molto al di là del campo conservatore (si vedano i numerosi franchi tiratori del PD, ma anche le posizioni di una parte del M5S), e questo corrisponde ad una sconfitta storica dell'idea di uguaglianza, non solo tra i generi.
La seconda cosa, legata alla precedente, è che si ammanta di principi (la meritocrazia) una semplice lotta per l'accesso ad un bacino di risorse scarse. Oggi circa il 70% dei deputati sono uomini: passare ad un sistema di 50-50% avrebbe significato per almeno il 20% dei maschi rinunciare alla possibilità di mantenere il seggio. Più semplice di così!




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