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Lesbiche che fanno (e disfanno) la differenza

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Paola Guazzo

Relazione al Festival delle donne e dei saperi di gener3- Nel segno delle differenze (Bari, 12 marzo 2014)

Lesbiche che fanno (e disfanno) la differenza 

Gli eventi che cominciano da oggi sono stati dedicati alle differenze, sono più precisamente “nel segno delle differenze”. Non avrebbero potuto, credo, essere nominati così se alle loro spalle – e di fronte – non ci fosse stato un percorso  che implica sia dei contenuti reali come questo convegno, sia una pratica assidua di attraversamento di campi filosofici e politici: una pratica femminista, ma anche, mi  permetto di dire, lesbofemminista, postcoloniale, cyborg, queer –  per citare l'elenco solo parziale dei posizionamenti che hanno animato e animano certe precarie ma resistenti forme di vita nella polis.

E' bene però come premessa notare che la “differenza” è un concetto non articolato solo in questo contesto. Esiste una sorta di catalogo istituzionale delle differenze, esistono schedari in cui i gerenti-serpenti del cosiddetto ordine depositano le loro uova avvelenate, pronti a costruire una nuova linea di confine, si tratti di un CIE o di qualche altro dispositivo di limitazione surrettizia come un bombardamento mediatico sul dover essere di una donna, sul dover essere di un uomo o di un bambino e anche ormai ahimè di chi si è illuso di non rientrare in questo schema come omosessuali, trans ed (ex?) renitenti vari all'eterosessualità obbligatoria. Il familismo come ricomposizione coattiva delle tensioni e delle torsioni delle differenze, se ne  attende ancora uno studio italiano , credo sarebbe interessante.
Esiste, inoltre, anche una declinazione postfascista delle differenze. Non dobbiamo dimenticarlo. Teorizzazioni  in voga a partire dalla Nouvelle Droite francese degli anni settanta-ottanta parlano infatti di differenziazione come disuguaglianza originaria e crescente negli aggregati umani.  “In tutte le specie basate sulla riproduzione sessuata, l'uguaglianza degli individui è una impossibilità naturale” scrive Robert Ardey. La biopolitica di un nefasto darwinismo sociale percorre uno degli orizzonti politici che ci troviamo ad affrontare. Stiamo preparando strumenti concettuali e politici  appropriati per combattere certe teorie?

Tornando però a noi, sappiamo che esistono  anni di dibattito femminista su differenza e differenze, essenza e-o costruzione.
Una definizione e messa in crisi del genere come fattore innato operata Joan Scott che mi sento di condividere è questa : - Il genere è un elemento costitutivo dei rapporti sociali fondato sulle differenze percepite fra i sessi – .
Su questa percezione dovremmo riflettere quando vediamo donne confinate in certi lavori e con difficoltà ad affermarsi in altri e quando parliamo, troppo disinvoltamente secondo me, di “lavoro di cura” come lavoro in qualche modo convenientemente femminile perché attinente alla maternità o a un'essenza del "femminile". Trappole identitarie.

I gender studies, da non confondersi con la definizione di “teoria del genere” usata da sentinelle padane, organizzatori delle francesi manif pour tous ed altri scary monsters and superfreak che si muovono nelle bassure della cosiddetta normalità, non sono solo utili strumenti antidiscriminatori ma l'avanguardia scientifica ed intellettuale del cambiamento sociale. Attendevamo lo sviluppo di un loro statuto più forte in Italia, mentre abbiamo assistito ad una progressiva marginalizzazione, scomparsa o occultamento. Penso al caso dell'università di Napoli dove i dottorati in studi di genere sono stati accorpati nel calderone generale degli studi internazionali.   Situazione paradossale proprio perché è l'assenza di un dottorato specifico in studi di genere che ci esclude da una congrua parte del sapere internazionale.
Voglio ribadire qui, in questa sede anche accademica, che non c'è sapere fertile che non possa non essere coinvolto nella questione cruciale dei gender studies.


Voglio aggiungere alla decostruzione del genere anche quella del sesso, una nuova frontiera internazionale.
Non esistono solo studi teocon che esasperino la differenza – se esiste – , non esistono solo le pagine di quotidiani vassalli che ci ricordano quasi ogni giorno che gli uomini hanno più difficoltà con il linguaggio ma sono più dotati in matematica e che le donne vengono da marte e gli uomini vengono da venere - ops scusate: è il contrario - ed altre, mi si perdoni o no il termine poco accademico, sovrumane ed ascientifiche cazzate.
Sulle “pressioni ormonali” che differenzierebbero i comportamenti dei due “sessi”, dice Catherine Vidal, neurobiologa e direttrice di ricerca all'Istituto Pasteur di Parigi: “ Il nostro cervello cosciente prefrontale ha pochi recettori ormonali”. L'area della creatività, della ricerca e della poesia è uguale in uomini e donne. Il nostro pensare non conosce la differenza sessuale.  Come non la conosce la nostra struttura ossea. Osserva Evelyne Peyre, paleoantropologa francese, che le strutture ossee degli scheletri dei nostri antenati e antenate sapiens e neanderthal rendono impossibile l'attribuzione di sesso.
La differenza si è strutturata storicamente a seconda della variazione dei rapporti di potere? E' probabile che la minor nutrizione e la segregazione delle donne abbiano nel corso dei secoli prodotto differenze di altezza e scheletro?
Domande che la scuola antropologica femminista francese, molto riconosciuta anche sul piano accademico sia detto non en passant, si è posta e si pone.  Ma qui il nome di Nicole Claude Mathieu – per citarne solo uno - non dice nulla. Voglio ricordarla, è morta il 9 marzo di quest'anno, citando un suo libro mai tradotto qui L'anatomie politique. Catégorisations et idéologies du sexe.

Partendo da questo titolo voglio ricordare un nuovo campo di ricerca e di impegno dei gender studies: quello che si occupa degli intersessuati. Persone che nascono  con un sistema genitale misto e non precisamente attribuibile all'uno o all'altro sesso e alle quali cui la furia anagrafica dei nostri dispositivi medici deve per forza attribuire o una F o una M, sottoponendoli fin da neonati a pratiche di chirurgia e atrocità mediche varie. E questo è solo uno dei tanti margini di differenza del cosiddetto sesso biologico. Gli intersessuati sono i nostri Angeli Novi.

Esistono differenze, ma non esiste LA differenza, credo che questo debba essere ormai un punto fermo del femminismo.
Se c'è stato in Italia un fenomeno ormai storico che ha parlato coraggiosamente di differenze al plurale questo è stato il lesbofemminismo nel suo divenire e nella plurivocità dei suoi posizionamenti, a partire dagli anni ottanta. Voglio dedicare a questa corrente alcune parole, le loro stesse parole di lesbiche, ripetute qui e ora. Il  libro di citazioni progettato da Benjamin è un ritorno al passato che è anche già futuro, è un salto verso una storia diversa.

Nel dirsi lesbica ed ebrea, sostiene Liana Borghi nel 1986, Adrienne Rich "si fa carico di un'identità che ci hanno insegnato a disprezzare , darsi un nome è quindi rifiutare di restare sommerse in una coscienza sociale che livella le differenze, che dando per scontate disparità e disuguaglianze tacendole le nega”

Parliamo ora della ricezione italiana di Monique Wittg, molto importante perchè Wittig dà delle donne una definizione come classe, non come genere: le donne come classe oppressa all'interno del contratto sociale eterosessuale, e le lesbiche come schiave fuggitive rispetto a questa classe e a quest'ordine.
Nel 1985, commento anonimo sul “Bollettino del Cli” alla traduzione del testo di Monique Wittig The straight mind (1978), molti anni prima rispetto alla ricezione  di Wittig fatta per esempio da Judith Butler:
 – Le lesbiche non sono delle donne, conclude provocatoriamente la Wittig utilizzando la tipica difesa attiva del pensiero eterosessuale per indurre a una ridefinizione fuori del pensiero straight sia della parola donna che della parola lesbica -

"Donna è una finzione dell'uomo. Wittig ha ragione , ma aggiungerò che dirsi donna ha talmente poco senso che ogni donna che aspira all'umanità non saprebbe identificarsi né tantomeno solidarizzare con la categoria donna.  Comprendo molto bene che Wittig dica che non è una donna ma una lesbica perché la parola donna ci rimanda alla biologia o alle differenze che sono state sfruttate in senso inverso alla nostra energia alla nostra intelligenza e alle nostre percezioni della realtà" Queste le parole di Nicole Brossard durante la presentazione romana del suo libro "La lettera aerea", tradotto fra l'altro da Luisa Muraro, nel 1990.
Nello stesso incontro romano con Brossard assistiamo a un divertente siparietto, documentato nel Bollettino del Cli ( poi divenuto della Cli, forse per omaggio a Carla Lonzi?) : "Durante l'incontro una donna ha ricordato l'affermazione di Irigaray che “le le lesbiche devono nascondersi”. A questo punto scoppia in sala una conversazione-litigata. Brossard usa la strategia del respiro e chiede – posso leggere una poesia erotica? - a questo punto nessuna ha più voglia di discutere di Irigaray e tutte si mettono assorte ad ascoltare la bellissima poesia “sotto la lingua” ".

"Avevo sentito Rich leggere a Utrecht Note per una politica del posizionamento , che ragionava sull'identità a partire dalla nostra geografia più prossima, che è un corpo marcato dalla costruzione (razza, classe, sessualità...) in un dato spazio-tempo. Chi di noi era d'accordo con Wittig che lesbiche non si nasce ma si diventa approvava il costruzionismo di queste politiche del posizionamento ". Liana Borghi, parlando di ricezioni teoriche anni ottanta, su un numero di "Towanda!", rivista lesbica, nel 2003.


E, infine, le identità multiple e differenziate: "Jeannine, Janet, Joanne e Jael, soggettività distinte in cui si scompone l'io narrante, ciascuna costituita in determinate condizioni socio-culturali (...) L'ipotesi inventiva che sostiene la costruzione fantascientifica è simile qui alle astratte immagini della poesia barocca: le quattro persone sono geneticamente una, ossia sono costituite dagli stessi geni che si configurano diversamente in quattro corpi e mondi distinti, e di tale identità genetica non rimane traccia che nel nome, anzi nel fonema iniziale dei loro nomi. Queste quattro personalità si incontrano, si scontrano, si confrontano ma non si fondono, ovviamente, a formare una donna totale ( e tantomeno Joanna Russ “autore”). Non sono quindi immagini complementari di una mitica femminilità, ma aspetti delle contraddizioni iscritte in ogni corpo in quanto soggetto a/in determinate formazioni storiche, introiettate attraverso i codici di rappresentazione che formano la realtà sociale." ( Teresa de Lauretis, da "Alfabeta",  1979) .






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