Manuela Menolascina
Pride, 2014 ,120 min ,Gran Bretagna di Mattew Warchus
Un film che attendevo con ansia, proprio perché relativamente poco promosso dai circuiti mainstream. Non è stato salutato iperbolicamente come bouleversant, coup de coeur, inoubliable, aggettivi che portano ineluttabilmente al confrontarsi e sconfortarsi con la pochezza del totem mediatico.
L'onesto understatement britannico non (mi) delude mai. Keep a low profile. Aim high, shoot low. Pride mira alto, altissimo, dritto ai nostri cuori. E non lo fa con angolature postmoderne e/o di tendenza volte più a stordire il pubblico che a renderlo partecipe di una qualsivoglia narrazione.
No frills at all, nessuna patina dall'inizio alla fine. A partire dal plot, basato su una storia vera e storicamente riconoscibilissima. 1984. Piena era thatcheriana, neoliberismo e conservatorismo sfrenato. Due anni dopo la riconquista della Falklands, per intenderci. Privatizzazioni forsennate. Chiusura delle miniere di carbone negli avamposti meno glamorous del Regno, quindi nelle Midlands, nel Nord industriale, in Galles.
Tuttavia, l'oppressione non è solo di classe ma anche sessuale. Lesbiche e gay londinesi si danno un gran da fare per affermarsi come categoria politica e sociale stridente con l'establishment liberticida a sostegno della Iron Lady.
Marciano, si travestono, rendendosi visibili nella loro coloratissima alterità. Vestono punk ma in realtà rigettano il nichilismo “no future” dei Sex Pistols. Credono che un mondo diverso, più inclusivo, sia necessariamente un mondo più vivibile. Mark, il leader di un circolo lgbt di periferia guarda oltre i confini identitari e mette su un fundraising per i minatori in sciopero. Nasce il GLSM ( Gays and Lesbians Support the Miners, gay e lesbiche sostengono i minatori, n.d.t) che durante il Pride di Londra del 1984 riesce a raccogliere una somma inaspettata da destinare ai minatori e alle loro famiglie.
Il GLSM entra in contatto con un gruppo di minatori del Galles meridionale non senza rilluttanze da entrambe le parti. I minatori in primis, assuefatti dalla durezza viriloide e terrosa del loro mestiere, inizialmente restano interdetti dal confronto con maschilità “altre”. I gay e le lesbiche, d'altronde, esprimono rimostranze rispetto al contatto con un mondo apparentemente gretto e poco “friendly” con cui pensano di non avere nulla in comune. Probabilmente perché non si percepiscono ancora come soggetti politici a 360 gradi in grado di destabilizzare un sistema che intacca ogni componente sociale minoritaria.
Warchus svela con sapienza le complessità che si celano dietro le cosiddette “guerre tra poveri” sicuramente evitabili attraverso una ferma e consapevole messa in discussione degli stereotipi da entrambe le parti.
Un film da amare, assolutamente non banale né scontato che si alimenta di una poesia rarefatta, bucolica, straziante e sublime come le desolate brughiere nebbiose su cui irrompe improvvisamente l’arcobaleno queer che non è solo disco music, tutine di latex e piume di struzzo ma anche lesbo-femminismo( indimenticabile il personaggio della lesbica post-punk, che, pur essendo inizialmente l’unica donna del gruppo, tende a rivendicare il suo esser “altra” rispetto ai maschietti con l’irresistibile refrain “ogni donna è una lesbica nel cuor”), coming out dolorosi negli ovattati quartieri upper-middle class dei sobborghi, annichilimento rispetto al flagello dell’AIDS.
Il tutto culmina nel maestoso Pride del 1985, poche settimane prima che io nascessi, in quella Londra che tanto mi avrebbe conquistata, quando gran parte delle donne che amo e che ho amato erano già politicamente attive. E’ per questo che sento questo film particolarmente mio. E’ come se prima di esserci ci fossi già, connessioni amorose veicolate dall’orgoglio, pride, per l’appunto.