Valerie Traub, storica del lesbismo, ha parlato delle riemersioni ed immersioni con le quali appariamo e scompariamo per poi di nuovo apparire nella storia del mondo. Un filo viola lega la poetessa di Mitilene alla regina settecentesca, l'attrice del Seicento e la garibaldina, la scrittrice socialista fabiana del Novecento alla militante queer 3.0.
Valerie chiama "cycles of salience" questi ricorsi carsici di figurazioni e pratiche a noi note, che rimappano vite e sessualità in senso avverso all'eterosessismo obbligatorio dei sistemi storici di dominio. Non sempre si tratta di incroci trionfali o esiti felici in senso liberatorio ed anche emancipatorio; a volte il disastro si produce e le Virginie si suicidano, nonostante l'enorme potenziale espresso. Immersioni che rimergeranno nel tempo, portando a letture nuove, rilanci. Il filo sarà nuovamente tessuto. A volte - non è certo il caso di Virginia nonché di altre resistenti meno note e tuttavia non meno potenti - lettere morte resteranno morte, per esempio nel caso di scrittrici lesbiche filo-naziste come Grete von Urbanitzky (la quale, è bene notarlo, sarà comunque perseguitata dalla Gestapo per il suo romanzo Fra cielo e Inferno, del 1939, e dall'esilio svizzero abiurerà il primitivo coinvolgimento hitleriano: c'è una possibilità per tutte).
Innegabilmente la storia lesbica è fatta di quelli che Luisa Passerini ha chiamato “silenzi che bisogna saper fare parlare”. Stiamo ora entrando in una ennesima zona di silenzio, dopo la conquista, pur travagliata e imperfetta, dei diritti civili in Italia? La forte “visibilità” di Arcilesbica sui media nazionali a seguito dei dibattiti conseguenti allo stralcio della stepchild adoption e al posizionamento contro la pratica della GPA è il paradossale segno di un massimo “fulgore”, simile a quello di una sole su una spiaggia italiana cinque minuti prima del suo tramonto?
Dove si va quando una visibilità di conflitto, anche con la maggioranza delle altre lesbiche esterne all'associazione, erode ogni spazio per una visibilità di costrutto?
Che senso ha una visibilità giocata su tematiche che rasentano sempre più da vicino le istanze biologistico-familistiche tanto care alla destra in ascesa? La parola “lesbica” è solo un'etichetta da appiccicare a battaglie sedicenti femministe, o il frutto di un percorso pluriennale di consapevolezze radicali di messa in crisi dell'eterosessualità obbligatoria e del destino culturale e biologico delle donne? Chi dice “lesbica”, infine, dice girl-scout in combutta con girl-scout votate a un verticismo da strapazzo, spesso penoso, fra cooptazioni last minute, defezioni di pavide, voltafaccia, escamotage statutari, mascellute orazioni a denti stretti in sale semivuote? Il divenire di un soggetto politico lesbico italiano è nel mesto connubio con una forma inquietante di femminismo che trova i suoi luoghi di espressione preferiti tra facebook, il Corriere della sera ed Avvenire, mentre molte femministe storiche prendono le distanze da ognuna delle sue esternazioni?
Domande ovviamente retoriche, per molte. Non bastano però costernazioni e questioni: è tempo di agire. Non possiamo permetterci di lasciare inabissare una storia complessa e ricca, mentre alcune fra noi costruiscono la casa del padrone con gli strumenti del padrone, come per citazione di Audre Lorde-Zabia rovesciata. Non possiamo essere complici, indulgere al brusio dissennato che precede il silenzio e il naufragio di un'intera rete, costruita con pazienza, coraggio, piacere e desiderio collettivo in destini comuni che sono diventati progetti di vita. Non vogliamo essere complici.
Le nostre consapevolezze – acquisite in un lavoro di decenni a cui tante hanno contribuito, anche Arcilesbica - ci hanno portato ad elaborare in profondità un senso politico e sociale dirompente. Lotteremo perché il buio non sia. Andremo oltre. Insieme.
Paola Guazzo