Roma, 24 febbraio 2018, Convegno "Dove sono le lesbiche?"
Credo che uno dei sensi di questo incontro sia quello di confrontarci guardandoci, di tentare di incrociare i nostri percorsi e le nostre prospettive, di conoscerci anche, capire da dove ciascuna di noi arriva e se esiste un punto verso il quale tutte vorremmo convergere.
Colpisce che prima ancora di parlare tra noi in profondità su alcuni nodi, come genitorialità e procreazione ad esempio,
ci troviamo nella condizione di essere già “parlate” / raccontate: dai social media e ora anche dai media giornalistici, che ai social attingono a piene mani, scambiando spesso la fotografia delle fonti (che sono i social) con la realtà e con l’analisi della medesima, e penso in particolare all’articolo comparso la scorsa settimana su "Internazionale".
Viene da chiedersi: quanto siamo consapevoli degli effetti di questa rappresentazione, in cosa ci riconosciamo, in cosa non ci riconosciamo e ci sentiamo abitate abusivamente?
Noi non partiamo certo da zero, come storia e come presente.
E ciascuna ha il “proprio” da dire, ciò che sa a partire dal percorso di cui fa parte, che per ciascuna di noi risiede in una relazione non scontata con la rappresentazione mediatica e i suoi effetti, ne è influenzata e insieme la influenza.
Questo modo di procedere vede differenze fondamentali da quando è iniziato il mio percorso di attivista e credo quello di molte di noi.
Senza alcuna nostalgia, ma senza pensare che ciò non produca effetti, per comunicare tra noi abbiamo molti modi rapidi che rendono facilissimo il flusso delle informazioni e riducono drammaticamente lo spazio delle relazioni e del contatto diretto, incarnato.
Per questo trovo prezioso e inevitabile questo incontro, il processo che a questo ci ha portate e il processo che potrà mettere in moto.
Il grande interrogativo da cui prende le mosse questo incontro
Dove sono le lesbiche produce in me immediata una domanda
Chi sono le lesbiche ?
Mi sono sentita immediatamente stimolata a soffermarmi su uno dei temi suggeriti, l’identità lesbica.
L’identità lesbica per come l’ho conosciuta è sempre stata plurale
La mia identità lesbica, che è in larga parte legata alla storia fatta insieme al Maurice, si è sviluppata in mixité, quell'insieme di pratiche ed elaborazioni basate sull’intreccio di diverse e autonome forme di soggettività che non si riconoscono nell’eterosessualità obbligatoria.
Abbiamo fortemente creduto che la mixitè potesse fornire spunti preziosi di crescita politica per l’intero movimento Glbtq, attraverso la messa in discussione della logica dell’arroccamento identitario. E così è stato, almeno a livello locale, per molti anni.
Il nodo fondamentale: la relazione politica tra le soggettività, senza la quale il rischio è la deriva della giustapposizione quantitativa, anticamera della perdita di orientamento di senso collettivo.
La perdita di orientamento collettivo è il processo in cui siamo oggi, che possiamo influenzare e modificare, a patto di non negarlo, di non scambiare cause per effetti, di riconoscere la sofferenza dentro l’insofferenza.
L’insofferenza identitaria può divenire il fucile con cui andiamo a spararci l’un l’altra, l’un l’altro, o il sintomo cui guardare con interesse e amorevolezza, necessariamente interrogandoci su cosa ci ha portato fino qui.
Tornando alle sollecitazioni con cui è stata costruita questa chiamata generale: oltre all’identità, il principio di autodeterminazione, la rappresentanza, la procreazione e la genitorialità, le rivendicazioni.
Leggo e rileggo queste parole:
Rappresentanza: punto cruciale, in una fase in cui spesso la rappresentazione prevale e si sostituisce alla rappresentanza.
Rivendicazioni : è una parola che sostituirei con “lotta per ottenere”.
Procreazione/genitorialità: temi e vissuti recenti, con i quali occorre confrontarsi, volenti o nolenti.
Ecco, queste sollecitazioni, se lasciate sole, mi portano a pensare ad una una comunità - la nostra - che parla di se stessa a se stessa.
In questa agenda, che ha tutto il pregio di averci costrette a riflettere e confrontarci, colgo il segno di una marginalità: imposta e accettata.
Sulla falsariga delle questioni femminili, quando ci si trovava tra donne, a margine, per discutere dei problemi delle donne, nei partiti nei collettivi nei gruppi.
Non è facile, ma ritengo sia necessario inserire le questioni nominate all’interno di un discorso complessivo e complesso.
Di un discorso e di un sistema di cui siamo parte.
Parte eccentrica, imprevista, irriducibile.
Ma pur sempre parte di un sistema.
E con questo sistema dobbiamo confrontarci, provando a mantenere uno sguardo e un’attitudine globale e al contempo specifica.
Vedo alcune priorità.
Sono dati forti e di dirompente ritorno: l’attacco feroce ed esplicito ai diritti delle donne nel quadro di un complessivo attacco, altrettanto feroce e talvolta ferocemente camuffato - all’autodeterminazione. Si tratta di una cartina di tornasole di attacchi sistemici, perpetrati da poteri che si saldano intorno a ragioni economiche e valoriali.
Una politica di reazione - anche - alle conquiste del movimento femminista, dei movimenti, del movimento GLBTQ, che in particolar modo ha minacciato l’ordine del maschio - bianco - eteronormato.
Un attacco che muove da un fronte ampio, fascio razzista, clericale, in alcuni aspetti partiticamente trasversale.
Un fronte ampio, bellicoso e pernicioso.
Oggi, in questo contesto, all’interno di un modello di società ipocrita e moralista, si definisce e si dà la mia ricerca identitataria lesbica.
Noi lesbiche, nella nostra piccola ma non più invisibile posizione, siamo oggi nuovamente, come sempre, da condannare, eliminare, attraverso strategie diversificate, tra cui la distrazione politica, l’uso e la manipolazione partitica e istituzionale.
“Lasciarsi distrarre” e “farsi usare” sono i rischi che ritengo più pericolosi per il nostro cammino.
Non facciamoci distrarre, non facciamoci usare.
Manteniamo uno sguardo e una attitudine globale e specifica.
Il mio essere lesbica oggi - in maniera diversa da ieri - mi rende un soggetto discriminato.
E allo stesso tempo io sono donna occidentale e cittadina italiana, il che fa di me anche un soggetto privilegiato.
La costruzione identitaria consiste nell’abbracciare e portare avanti una battaglia che sia politica ma anche e soprattutto culturale.
Nella costruzione di una cultura di misconoscimento e lotta alla misoginia, al patriarcato, al sessismo, al razzismo.
Misoginia, patriarcato, sessismo, razzismo nelle nuove forme, subdole, striscianti e violente allo stesso tempo,
sono aspetti diversi di uno stesso potere.
E il nostro sarebbe un discorso sull'identità elitario se prescindessimo dai dati di realtà e dalle connessioni con tutte le altre forme anche discrepanti di realtà antagoniste.
In assenza di una visione d’insieme, una riflessione/rivendicazione dell’identità lesbica rischia di cadere nella trappola identitaria che sta avvelenando la nostra società, quella di costruire un soggetto sovrano che diventa normativo in senso forte e funziona quindi sulla logica dell’esclusione e del misconoscimento delle pluralità delle forme in cui quell’identità viene vissuta e articolata.
Non si tratta di silenziare le ”rivendicazioni” delle lesbiche, ma di dire ciò che abbiamo da dire su tutto.
La nostra piattaforma deve ampliarsi.
Come il nostro sguardo e le nostre prospettive.
Ci siamo prese le piazze. Talvolta lo abbiamo fatto assieme ai migranti, siamo entrate nelle scuole a viso scoperto e ci siamo abbracciate nelle sale parto.
Portando dentro tutto il peso delle nostre contraddizioni, divise tra il senso di giustizia e la paura di disperderci, di non riconoscerci.
“Ma se tu sei uguale a me, allora io chi sono?” recita un’efficace vignetta di Biani.
Siamo consapevoli che mille volte abbiamo perso per aver anteposto alle nostre istanze questioni più importanti, quali il lavoro, la salute, la guerra.
Ma questo non deve portarci ad isolarci e percepirci come qualcosa di estraneo.
Volere o nolere, siamo dentro.
La sfocatura della visione complessiva è a mio parere il prezzo caro che stiamo pagando per 15 anni trascorsi a ripetere con lingua morta slogan logori, per rivendicazioni di diritti civili che in altri paesi sono stati ottenuti in tempi assai più brevi.
Contro il movimento GLBTQ si è scatenato un fuoco di fila.
Le gerarchie vaticane pre Bergoglio e le forze politiche a queste colluse hanno tentato in ogni modo di bloccare quello che è stato giustamente colto come un attacco alla famiglia tradizionale.
Abbiamo subito un attacco che non ha avuto eguali in nessun paese europeo.
Fatte salve tutte le nostre responsabilità in questo processo, sono stati anni sfiancanti che hanno rafforzato un appiattimento dei discorsi, una semplificazione al ribasso. Una auto-rappresentazione della comunità molto meno variegata di quella che è.
Questo accade in tutte le guerre culturali e non solo.
E di questa deriva credo che il prezzo più alto l’abbiano pagato le lesbiche.
La torsione prodotta tra il piano delle rivendicazioni e quello della ricchezza delle nostre culture è stato micidiale:
la politica dei diritti, il giusto richiamo all’uguaglianza ha prodotto slogan esemplari, ne ricordo uno “Uguale amore, Uguali diritti”, che tanta parte delle nostre vite ha lasciato fuori.
Ha prodotto confronti che hanno svilito le nostre complessità.
Per stare sul presente recente, la lettera che Arcilesbica ha scelto di indirizzare a Renzi, è stata per me illuminante per comprendere l’entità della torsione rovesciata dal piano del dibattito delle idee a quello della politica.
Uno spostamento sul piano della politica di qualcosa di cui c’è drammatica e pericolosa mancanza, la nostra più grande urgenza:
il dibattito delle idee e lo sviluppo del pensiero critico.
Tornando al nodo dell’identità, cosa ne resta se non guardiamo e non impariamo dalle differenze e dai conflitti? Differenze che ci sono tra lesbiche e ci sono sempre state, così come ci sono e ci sono sempre state nelle relazioni tra lesbiche e gay e transgender… per fermarci qui.
Quando l’identità rafforza e unisce graniticamente mi preoccupo molto, quando l’identità produce una ricerca di senso so che siamo sulla strada giusta.
Negli scritti politici Audre Lorde dice: “Esplorare il senso delle differenze ci manteneva allerta e in costante apprendimento e noi usavamo quell’esplorazione per andare avanti(…)”.
Penso che dobbiamo riprendere ad esplorare le differenze ed essere allerta, il tempo che stiamo vivendo ci dice che non possiamo più rimandare, che l’ora è venuta.
Roberta Padovano
Credo che uno dei sensi di questo incontro sia quello di confrontarci guardandoci, di tentare di incrociare i nostri percorsi e le nostre prospettive, di conoscerci anche, capire da dove ciascuna di noi arriva e se esiste un punto verso il quale tutte vorremmo convergere.
Colpisce che prima ancora di parlare tra noi in profondità su alcuni nodi, come genitorialità e procreazione ad esempio,
ci troviamo nella condizione di essere già “parlate” / raccontate: dai social media e ora anche dai media giornalistici, che ai social attingono a piene mani, scambiando spesso la fotografia delle fonti (che sono i social) con la realtà e con l’analisi della medesima, e penso in particolare all’articolo comparso la scorsa settimana su "Internazionale".
Viene da chiedersi: quanto siamo consapevoli degli effetti di questa rappresentazione, in cosa ci riconosciamo, in cosa non ci riconosciamo e ci sentiamo abitate abusivamente?
Noi non partiamo certo da zero, come storia e come presente.
E ciascuna ha il “proprio” da dire, ciò che sa a partire dal percorso di cui fa parte, che per ciascuna di noi risiede in una relazione non scontata con la rappresentazione mediatica e i suoi effetti, ne è influenzata e insieme la influenza.
Questo modo di procedere vede differenze fondamentali da quando è iniziato il mio percorso di attivista e credo quello di molte di noi.
Senza alcuna nostalgia, ma senza pensare che ciò non produca effetti, per comunicare tra noi abbiamo molti modi rapidi che rendono facilissimo il flusso delle informazioni e riducono drammaticamente lo spazio delle relazioni e del contatto diretto, incarnato.
Per questo trovo prezioso e inevitabile questo incontro, il processo che a questo ci ha portate e il processo che potrà mettere in moto.
Il grande interrogativo da cui prende le mosse questo incontro
Dove sono le lesbiche produce in me immediata una domanda
Chi sono le lesbiche ?
Mi sono sentita immediatamente stimolata a soffermarmi su uno dei temi suggeriti, l’identità lesbica.
L’identità lesbica per come l’ho conosciuta è sempre stata plurale
La mia identità lesbica, che è in larga parte legata alla storia fatta insieme al Maurice, si è sviluppata in mixité, quell'insieme di pratiche ed elaborazioni basate sull’intreccio di diverse e autonome forme di soggettività che non si riconoscono nell’eterosessualità obbligatoria.
Abbiamo fortemente creduto che la mixitè potesse fornire spunti preziosi di crescita politica per l’intero movimento Glbtq, attraverso la messa in discussione della logica dell’arroccamento identitario. E così è stato, almeno a livello locale, per molti anni.
Il nodo fondamentale: la relazione politica tra le soggettività, senza la quale il rischio è la deriva della giustapposizione quantitativa, anticamera della perdita di orientamento di senso collettivo.
La perdita di orientamento collettivo è il processo in cui siamo oggi, che possiamo influenzare e modificare, a patto di non negarlo, di non scambiare cause per effetti, di riconoscere la sofferenza dentro l’insofferenza.
L’insofferenza identitaria può divenire il fucile con cui andiamo a spararci l’un l’altra, l’un l’altro, o il sintomo cui guardare con interesse e amorevolezza, necessariamente interrogandoci su cosa ci ha portato fino qui.
Tornando alle sollecitazioni con cui è stata costruita questa chiamata generale: oltre all’identità, il principio di autodeterminazione, la rappresentanza, la procreazione e la genitorialità, le rivendicazioni.
Leggo e rileggo queste parole:
Rappresentanza: punto cruciale, in una fase in cui spesso la rappresentazione prevale e si sostituisce alla rappresentanza.
Rivendicazioni : è una parola che sostituirei con “lotta per ottenere”.
Procreazione/genitorialità: temi e vissuti recenti, con i quali occorre confrontarsi, volenti o nolenti.
Ecco, queste sollecitazioni, se lasciate sole, mi portano a pensare ad una una comunità - la nostra - che parla di se stessa a se stessa.
In questa agenda, che ha tutto il pregio di averci costrette a riflettere e confrontarci, colgo il segno di una marginalità: imposta e accettata.
Sulla falsariga delle questioni femminili, quando ci si trovava tra donne, a margine, per discutere dei problemi delle donne, nei partiti nei collettivi nei gruppi.
Non è facile, ma ritengo sia necessario inserire le questioni nominate all’interno di un discorso complessivo e complesso.
Di un discorso e di un sistema di cui siamo parte.
Parte eccentrica, imprevista, irriducibile.
Ma pur sempre parte di un sistema.
E con questo sistema dobbiamo confrontarci, provando a mantenere uno sguardo e un’attitudine globale e al contempo specifica.
Vedo alcune priorità.
Sono dati forti e di dirompente ritorno: l’attacco feroce ed esplicito ai diritti delle donne nel quadro di un complessivo attacco, altrettanto feroce e talvolta ferocemente camuffato - all’autodeterminazione. Si tratta di una cartina di tornasole di attacchi sistemici, perpetrati da poteri che si saldano intorno a ragioni economiche e valoriali.
Una politica di reazione - anche - alle conquiste del movimento femminista, dei movimenti, del movimento GLBTQ, che in particolar modo ha minacciato l’ordine del maschio - bianco - eteronormato.
Un attacco che muove da un fronte ampio, fascio razzista, clericale, in alcuni aspetti partiticamente trasversale.
Un fronte ampio, bellicoso e pernicioso.
Oggi, in questo contesto, all’interno di un modello di società ipocrita e moralista, si definisce e si dà la mia ricerca identitataria lesbica.
Noi lesbiche, nella nostra piccola ma non più invisibile posizione, siamo oggi nuovamente, come sempre, da condannare, eliminare, attraverso strategie diversificate, tra cui la distrazione politica, l’uso e la manipolazione partitica e istituzionale.
“Lasciarsi distrarre” e “farsi usare” sono i rischi che ritengo più pericolosi per il nostro cammino.
Non facciamoci distrarre, non facciamoci usare.
Manteniamo uno sguardo e una attitudine globale e specifica.
Il mio essere lesbica oggi - in maniera diversa da ieri - mi rende un soggetto discriminato.
E allo stesso tempo io sono donna occidentale e cittadina italiana, il che fa di me anche un soggetto privilegiato.
La costruzione identitaria consiste nell’abbracciare e portare avanti una battaglia che sia politica ma anche e soprattutto culturale.
Nella costruzione di una cultura di misconoscimento e lotta alla misoginia, al patriarcato, al sessismo, al razzismo.
Misoginia, patriarcato, sessismo, razzismo nelle nuove forme, subdole, striscianti e violente allo stesso tempo,
sono aspetti diversi di uno stesso potere.
E il nostro sarebbe un discorso sull'identità elitario se prescindessimo dai dati di realtà e dalle connessioni con tutte le altre forme anche discrepanti di realtà antagoniste.
In assenza di una visione d’insieme, una riflessione/rivendicazione dell’identità lesbica rischia di cadere nella trappola identitaria che sta avvelenando la nostra società, quella di costruire un soggetto sovrano che diventa normativo in senso forte e funziona quindi sulla logica dell’esclusione e del misconoscimento delle pluralità delle forme in cui quell’identità viene vissuta e articolata.
Non si tratta di silenziare le ”rivendicazioni” delle lesbiche, ma di dire ciò che abbiamo da dire su tutto.
La nostra piattaforma deve ampliarsi.
Come il nostro sguardo e le nostre prospettive.
Ci siamo prese le piazze. Talvolta lo abbiamo fatto assieme ai migranti, siamo entrate nelle scuole a viso scoperto e ci siamo abbracciate nelle sale parto.
Portando dentro tutto il peso delle nostre contraddizioni, divise tra il senso di giustizia e la paura di disperderci, di non riconoscerci.
“Ma se tu sei uguale a me, allora io chi sono?” recita un’efficace vignetta di Biani.
Siamo consapevoli che mille volte abbiamo perso per aver anteposto alle nostre istanze questioni più importanti, quali il lavoro, la salute, la guerra.
Ma questo non deve portarci ad isolarci e percepirci come qualcosa di estraneo.
Volere o nolere, siamo dentro.
La sfocatura della visione complessiva è a mio parere il prezzo caro che stiamo pagando per 15 anni trascorsi a ripetere con lingua morta slogan logori, per rivendicazioni di diritti civili che in altri paesi sono stati ottenuti in tempi assai più brevi.
Contro il movimento GLBTQ si è scatenato un fuoco di fila.
Le gerarchie vaticane pre Bergoglio e le forze politiche a queste colluse hanno tentato in ogni modo di bloccare quello che è stato giustamente colto come un attacco alla famiglia tradizionale.
Abbiamo subito un attacco che non ha avuto eguali in nessun paese europeo.
Fatte salve tutte le nostre responsabilità in questo processo, sono stati anni sfiancanti che hanno rafforzato un appiattimento dei discorsi, una semplificazione al ribasso. Una auto-rappresentazione della comunità molto meno variegata di quella che è.
Questo accade in tutte le guerre culturali e non solo.
E di questa deriva credo che il prezzo più alto l’abbiano pagato le lesbiche.
La torsione prodotta tra il piano delle rivendicazioni e quello della ricchezza delle nostre culture è stato micidiale:
la politica dei diritti, il giusto richiamo all’uguaglianza ha prodotto slogan esemplari, ne ricordo uno “Uguale amore, Uguali diritti”, che tanta parte delle nostre vite ha lasciato fuori.
Ha prodotto confronti che hanno svilito le nostre complessità.
Per stare sul presente recente, la lettera che Arcilesbica ha scelto di indirizzare a Renzi, è stata per me illuminante per comprendere l’entità della torsione rovesciata dal piano del dibattito delle idee a quello della politica.
Uno spostamento sul piano della politica di qualcosa di cui c’è drammatica e pericolosa mancanza, la nostra più grande urgenza:
il dibattito delle idee e lo sviluppo del pensiero critico.
Tornando al nodo dell’identità, cosa ne resta se non guardiamo e non impariamo dalle differenze e dai conflitti? Differenze che ci sono tra lesbiche e ci sono sempre state, così come ci sono e ci sono sempre state nelle relazioni tra lesbiche e gay e transgender… per fermarci qui.
Quando l’identità rafforza e unisce graniticamente mi preoccupo molto, quando l’identità produce una ricerca di senso so che siamo sulla strada giusta.
Negli scritti politici Audre Lorde dice: “Esplorare il senso delle differenze ci manteneva allerta e in costante apprendimento e noi usavamo quell’esplorazione per andare avanti(…)”.
Penso che dobbiamo riprendere ad esplorare le differenze ed essere allerta, il tempo che stiamo vivendo ci dice che non possiamo più rimandare, che l’ora è venuta.
Roberta Padovano