Sono convinta che quello della autodeterminazione sia - paradossalmente - un falso problema. Per capirlo basta analizzare la necessaria correlazione tra autodeterminazione ed identità, perché è ovvio: intanto io posso autodeterminarmi solo se so cosa voglio, ovvero se investigo la mia identità ed - allo stesso modo - saprò rappresentarmi solo se quantomeno mi sarò prima presentata a me stessa (non direi che mi sono ammessa lesbica
perché per me si ammettono le colpe, Cristina, direi che mi sono dischiarata a me stessa, come si dichiara il proprio amore). Ed è allora qui che sorge il problema, perché oggi il contesto sociopolitico in cui viviamo ci prende letteralmente d'assalto, tramite pubblicità e propaganda, con profferte di identità prefabbricate, che ci sollevano dal problema di doverci confrontare con noi stesse e le nostre paure. Voglio ricordare che se ieri siamo state le lesbiche post-Berlusconi, oggi siamo le lesbiche post-Trump e domani saremo chissà-post-che-cosa. Ed allora per me chiedersi dove sono le lesbiche significa prima di tutto chiedersi dove - cioè a che punto - stanno queste identità lesbiche! Se qualcuno mi dice cosa voglio e cosa sono o cosa debbo volere ed essere per dirmi lesbica (anche nel senso militante del termine) probabilmente mi semplifica la vita perché così diventa facile e confortante riconoscermi, più che trovarmi lesbica, tuttavia dove si è smesso di interrogarsi ci si ritrova sempre - volontariamente o no - in un perimetro patriarcale: un metodo affidabile e dalla provata efficacia ...in fondo ci fornisce identità utili da secoli. Credo fosse questo quello che intendeva Roberta Padovano quando parlava di trappola identitaria, mentre il metodo femminista è - prima di tutto - autoconsapevolezza; intendo l'arrivare a definirsi per scoperta o per affermazione (io sono questa) più che per negazione (io sono diversa da questo). E parlo di metodo perché per me, tra noi, è più importante del contenuto stesso (faccio un esempio: parto anonimo facile e bello.. mentre io ci vedo nessuna garanzia per la salute della donna e possibile fabbrica di orfani). Non credo sia più il tempo di rifugiarsi in distopìe horror (la donna macchina) piuttosto che in cinematografie dall'happy ending (famiglie rainbow sempre felici ...perché rainbow): sono due modi di sfuggire il reale. Preferisco domandarmi ad ogni passo dove vado. Ecco perché un movimento lesbico con tutte le risposte sinceramente non mi interessa, preferisco quello che ho visto oggi.
Irene Lepre
perché per me si ammettono le colpe, Cristina, direi che mi sono dischiarata a me stessa, come si dichiara il proprio amore). Ed è allora qui che sorge il problema, perché oggi il contesto sociopolitico in cui viviamo ci prende letteralmente d'assalto, tramite pubblicità e propaganda, con profferte di identità prefabbricate, che ci sollevano dal problema di doverci confrontare con noi stesse e le nostre paure. Voglio ricordare che se ieri siamo state le lesbiche post-Berlusconi, oggi siamo le lesbiche post-Trump e domani saremo chissà-post-che-cosa. Ed allora per me chiedersi dove sono le lesbiche significa prima di tutto chiedersi dove - cioè a che punto - stanno queste identità lesbiche! Se qualcuno mi dice cosa voglio e cosa sono o cosa debbo volere ed essere per dirmi lesbica (anche nel senso militante del termine) probabilmente mi semplifica la vita perché così diventa facile e confortante riconoscermi, più che trovarmi lesbica, tuttavia dove si è smesso di interrogarsi ci si ritrova sempre - volontariamente o no - in un perimetro patriarcale: un metodo affidabile e dalla provata efficacia ...in fondo ci fornisce identità utili da secoli. Credo fosse questo quello che intendeva Roberta Padovano quando parlava di trappola identitaria, mentre il metodo femminista è - prima di tutto - autoconsapevolezza; intendo l'arrivare a definirsi per scoperta o per affermazione (io sono questa) più che per negazione (io sono diversa da questo). E parlo di metodo perché per me, tra noi, è più importante del contenuto stesso (faccio un esempio: parto anonimo facile e bello.. mentre io ci vedo nessuna garanzia per la salute della donna e possibile fabbrica di orfani). Non credo sia più il tempo di rifugiarsi in distopìe horror (la donna macchina) piuttosto che in cinematografie dall'happy ending (famiglie rainbow sempre felici ...perché rainbow): sono due modi di sfuggire il reale. Preferisco domandarmi ad ogni passo dove vado. Ecco perché un movimento lesbico con tutte le risposte sinceramente non mi interessa, preferisco quello che ho visto oggi.
Irene Lepre