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Torino: la gioia del Family Pride (anche se la faccia di Fassino resta quella che è)

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09-06-2013 - Vari -
TORINO - TRENTAMILA IN MARCIA AL GAY PRIDE
La parlamentare pd Paola Bragantini al corteo del Gay Pride vestita da uomo
da La Stampa



Dal Family Pride la spinta a cambiare “Siamo tantissimi”
In strada con le famiglie: il Paese deve adeguarsi

MARIA TERESA MARTINENGO

I gay e le loro famiglie in strada per farsi ascoltare Protagonisti i ragazzi per una giornata dell’orgoglio omosessuale che ha portato nelle strade di Torino migliaia di persone. Al loro fianco anche molte istituzioni cittadine

Allegro, colorato, pieno di giovani, con i bambini della Famiglie Arcobaleno e di Rete Genitori Rainbow in testa, sul trenino o nei passeggini, con due mamme o due papà a tenerli per mano. Il Family Pride, promosso dalle associazioni del Coordinamento Torino Pride, che ieri ha sfilato da via San Donato a piazza Castello, è stato una parata dell’orgoglio omosessuale nuova: meno provocazioni, più affermazioni categoriche. Una sopra ogni altra, confermata dalla gente: la società italiana è pronta per il cambiamento che le mamme lesbiche e i papà gay chiedono, il diritto di essere famiglia. E il messaggio del sindaco Piero Fassino, impossibilitato a partecipare dal grave lutto che lo ha colpito (presente con la fascia tricolore l’assessora Maria Cristina Spinosa), lo sottolinea. «E’ tempo che il legislatore e la società civile riconoscano i diritti delle persone omosessuali e transessuali e la politica e le istituzioni operino affinché venga colmato il vuoto di norme a tutela di quei diritti. La società di oggi conosce tante differenti forme di vincolo affettivo e familiare che necessitano di essere riconosciute, tutelate, sostenute. Io vi confermo il mio impegno e vi sono accanto».

Le richieste

Al centro della manifestazione dedicata ad Alessandro Ozimo, fondatore di Rete Genitori Rainbow prematuramente scomparso, le richieste di matrimonio egualitario, di adozione del figlio non biologico, uguali diritti e doveri, esistere di fronte allo Stato. «Chiediamo queste cose da tempo, - dice Silvia Starnini di Famiglie Arcobaleno -. La reazione potrebbe essere un’ondata di odio nei nostri confronti. Invece l’accoglienza che vediamo è ottima. L’avversione c’è solo da parte di certi politici». Laura Mariotti di Agedo, l’associazione dei genitori di figli omosessuali: «Guardo i bimbi sul trenino: i nostri figli devono avere un futuro come tutti».

Ai bordi delle strade

La conferma viene dalla gente, da chi è appena uscito da un negozio, dal notaio che distribuisce volantini per due giornate di consulenza gratuita per famiglie di fatto. Andrea, 25 anni, operaio: «Gli altri Paesi sono tutti più avanti di noi, l’Italia deve aggiornarsi. Da noi resiste il mito della famiglia stile Mulino Bianco. Ma se la vogliono anche i gay, che possano averla». Ilaria, 23 anni, studentessa: «Per i bambini è l’affetto che conta, non il sesso di chi glielo dà». Marisa e Renato, marito e moglie over 40, osservano il corteo in via Cernaia: «Ci sono famiglie sbagliate fatte da un uomo e da una donna, con figli maltrattati...». Massimo, 53 anni, assicuratore: «Ho famiglia, ma non sono sposato. Per me la famiglia si forma con la procreazione. Però riconosco che ognuno deve avere libertà di vivere la vita e la sessualità come crede». Claudia, Fabio, Annalisa e Fiammetta, sedicenni, canavesani in giro per shopping: «Siamo assolutamente d’accordo: gli omosessuali devono potersi sposare e i loro figli avere tutti i diritti». Maria Luisa, magazziniera, e Davide, operaio, distinguono: «Sì al matrimonio, no alle adozioni».

In piazza Castello Poco prima dei discorsi ufficiali, in piazza Castello, il bilancio. «È stata una manifestazione molto partecipata, siamo tantissimi - dice Donata Prosio, coordinatrice del Pride -, la città come sempre ha risposto benissimo». Enzo Cucco, tra i leader del movimento: «Torino ha aperto il mese dei Pride e la scelta del tema non solo è condivisa ma va riproposta. E’ davvero importante che dai Pride di quest’anno arrivi una richiesta forte, chiara, specifica sul cambio di passo, culturale e normativo, di cui l’Italia ha bisogno, in merito al diritto familiare».
"LA SCELTA DEL SINDACO «Sono al vostro fianco"

"il legislatore deve riconoscervi i diritti»"

"Fotogallery e video su www.lastampa.it/torino"

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Storie tra la gente che sfila

“Per noi la felicità sono due cognomi sul campanello”

CRISTINA INSALACO

Drag queen e bambine Il Pride 2013 si è svolto all’insegna della sobrietà. E la presenza più importante è stata quella, numerosa, dei bambini

È stato un Family Pride maturo. Sobrio, autentico. Ieri pomeriggio per le vie del centro c’erano pochi travestimenti, poca ostentazione dell’omosessualità, pochi trucchi esagerati. Hanno sfilato persone con la voglia di rompere gli schemi, quelli mentali, quelli che imprigionano la gente dentro a pregiudizi e giudizi affrettati di «sconvenienza» e «normalità».

Al Pride c’erano storie come quelle di Giovanni Fantoni, 33 anni, e Stefano Musso, 41, che vivono a Genova e si sono sposati a Londra l’anno scorso. «La verità ci rende liberi – dice Stefano – e l’unico modo per esserlo è non mentire, non avere paura di essere se stessi. Sì, io mi sento diverso, ma è questa la grande ricchezza degli uomini, l’omologazione condanna l’individuo». Lui e Giovanni in casa tengono lo spazzolino dentro lo stesso portaspazzolini, nel citofono hanno i loro cognomi uno sopra l’altro e quando vanno in giro non scrutano più l’orizzonte intorno prima di darsi un bacio. Per il futuro sperano per i gay che ancora si nascondono questa stessa naturalezza. Con dei diritti in più.

Fabrizio Paoletti, 48 anni, ha divorziato nel 2001 e adesso vive con Luca: «Ho sempre vissuto con l’idea che costruire una famiglia fosse più importante dell’amore per mia moglie, ma così non stavo bene. Oggi mia figlia vive metà settimana con la mamma e il nuovo marito, metà con me e il mio compagno. Abbiamo una vita equilibrata». Tra i residenti che guardavano dal balcone, centinaia di ragazzi e adulti che facevano foto e qualche famiglia che si godeva la sfilata sgranocchiando popcorn sul marciapiede, Giziana Vetrano camminava pensando al figlio Tommaso di 3 anni e mezzo. L’ha avuto grazie a un donatore, e il suo unico dispiacere è che la compagna non abbia diritti legali sul bambino. «L’altro ieri la mamma di una compagna di scuola di Tommaso mi ha detto: lo sa che ho dovuto giustificare a mia figlia il fatto di avere una sola mamma?».
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da La Repubblica



Trentamila in marcia al Gay Pride

Prosio: “La gente è più avanti dei governi”. Bragantini sfila vestita da uomo

«SIAMO trentamila», dicono gli organizzatori vedendo sfilare per le vie del centro di Torino il corteo del Gay Pride, edizione dedicata alla famiglia. E tra drag queen e semplici sostenitori dell’iniziativa compare anche la parlamentare del Pd Paola Bragantini, la quale per l’occasione si è vestita da uomo.

MARIACHIARA GIACOSA

E’ UN outing collettivo il gay pride di Torino, quest’anno dedicato alla famiglia e alle unioni civili. Per tutto il pomeriggio, nelle vie del centro, ha sfilato l’orgoglio gay. Ma non solo quello. In corteo insieme alle storiche associazioni di lotta per i diritti di omosessuali, bisex e trans c’è anche tanta gente comune e tante famiglie, cosiddette normali, per dimostrare al mondo che «normale» non significa niente. E infatti il mondo guarda incuriosito e divertito l’esplosione di colori e costumi che ogni anno porta in piazza l’orgoglio di chi non si sente e non è diverso e rivendica diritti.
Hanno sfilato in 30 mila secondo gli organizzatori. Forse erano un po’ meno ma è certo che se il coordinamento del Torino Pride avesse chiesto anche solo un centesimo a tutti i passanti che hanno salutato e scattato fotografie, ieri sarebbe diventata una delle associazioni più ricche della città. «La gente è sempre più avanti di quanto non lo siano i governi, il parlamento e leggi — dice Donata Prosio, coordinatrice del Torino Pride — da quando si è fatto qui il corteo nazionale nel 2006 la città risponde sempre in maniera meravigliosa, con un’affetto e un calore straordinario ». Difficile, guardando i tanti volti di chi sfila e di chi applaude da sotto i portici, che questo sia il paese in cui non si riesce a far approvare una legge sull’omofobia o sulle unioni civili per persone dello stesso sesso. «Noi continuiamo a chiedere — aggiunge — ciò che sarebbe normale, c’è l’articolo 3 della Costituzione che sancisce pari diritti per tutti. E in quei tutti ci siamo anche noi».
E così non c’è da stupirsi a veder sfilare i seri professori della Consulta per la laicità delle istituzioni solo pochi metri più avanti rispetto a una coppia di attempate drag queen su tacco 13, gonne e top, larghi poco più di un fazzoletto. O i genitori dell’Agedo, l’associazione nata esattamente vent’anni fa per raccogliere i genitori e i parenti di ragazzi omosessuali, a braccetto con i palestrati delle discoteche che festeggiano con bolle di sapone, schiuma, perizoma e musica tecno. Persino la parlamentare del partito democratico, Paola Bragantini, sceglie di vestirsi da uomo per l’occasione. In giacca e cravatta. Perchè? «Perchè mi sembra un bel gesto». E aggiunge: «Mi auguro che questo governo sappia raccogliere il messaggio di questa piazza, in Parlamento ci sono già due proposte di legge». Non è la sola rappresentante delle istituzioni a sfilare dietro lo striscione che apre il corteo insieme alle famiglie arcobaleno. Ci sono deputati e consiglieri regionali e comunali di Pd, Sel, Rifondazione e Movimento 5 stelle. Secondo Giorgio Airaudo di Sel «per i diritti non servono risorse, ma sono un modo per stare in Europa a testa alta».
Ad aprire il corteo ci sono le famiglie arcobaleno e il trenino dei bambini: «Non siamo un mondo a parte, ma una parte del mondo» hanno scritto a pennarello sui loro cartelli. Sfilano nonne, figlie e nipoti: «Perchè la nostra è una famiglia normale, non è inventata, ma è fondata sull’amore» spiegano al megafono. Poi l’Arcigay, le parrucche dei ragazzi del circolo Maurice. Le magliette rosa e nere con lo slogan: «la diversità è un bene comune». A rappresentare la Città c’è l’assessore alle pari opportunità Maria Grazia Spinoza, in fascia tricolore. Il sindaco Piero Fassino in mattinata ha mandato un messaggio: «Non posso essere tra voi — scrive — ma vi sono idealmente vicino in questa giornata di condivisione e di festa: riconoscere l’eguaglianza dei diritti di ogni persona, e tra questi il diritto a vivere liberamente il proprio orientamento sessuale, è questione irrinunciabile per ogni società che voglia dirsi democratica».

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da Repubblica.it

Gay Pride, il corteo dei 10mila - i bambini guidano la sfilata
La manifestazione quest'anno è incentrata sulla famiglia, per ricordare Alessandro Ozzimo, fondatore della Rete Genitori e Rainbow, e coordinatore del Torino Pride, morto quest'inverno

La parlamentare pd Paola Bragantini al corteo del Gay Pride vestita da uomo

Un trenino turistico carico di bambini apre il Family Pride di Torino: sono decine di figli di coppie omosessuali portati a sfilare. Il Gay Pride torinese quest'anno e' incentrato sulla famiglia, per ricordare Alessandro Ozzimo, fondatore della Rete Genitori e Rainbow, e coordinatore del Torino Pride, morto quest'inverno. Migliaia di persone, si calcola almeno diecimila, marciano da piazza Statuto verso piazza Castello. Fra i tanti carri, uno gigantesco con la scritta "Vorrei ma non posso" dedicato al matrimonio gay che è il tema centrale dell'edizione di quest'anno.

Tra i partecipanti anche alcuni politici, tra cui spicca il segretario uscente del Pd provinciale e parlamentare Paola Bragantini, che si è vestita con un abito maschile. Le 'drag queen' issate su tacchi vertiginosi non mancano, ma a prevalere è la voglia di normalità: bambini in braccio e sulle spalle dei genitori, tanti giovani, anche una nonna con nipotina in passeggino che issa il cartello 'Diritti a mia nipote'. Il 'Family Pridè di Torino per il quale stanno sfilando nel centro della città migliaia di persone di diciotto associazioni Gltb, quest'anno punta sulla campagna a favore del matrimonio gay e per il riconoscimento della famiglia basata sull'unione omosessuale.

In apertura majorette e bambini, a seguire decine di carri via via più rumorosi e vistosi. A metà corteo un ragazzo spiega al microfono: "Vogliamo che questo Stato riconosca tutto ciò che è naturale".
A sfilare c'è anche la Cgil di Torino che, su un'Apecar rossa, innalza un cartello con la scritta "Stesso cuore stesso amore", e la Consulta torinese per la laicità delle istituzioni che sventola sobrie bandiere. Il trenino da cui salgono e scendono instancabili i bambini più grandicelli è stato portato in corteo grazie all'intervento del Rotary.

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da Il Mondo

Gay/ Fassino: Eguaglianza diritti questione irrinunciabile
Venga colmato vuoto di norme

Torino, 8 giu. "Riconoscere l'eguaglianza dei diritti di ogni persona, e tra questi il diritto a vivere liberamente il proprio orientamento sessuale, e' questione irrinunciabile per ogni societa' che voglia dirsi democratica". E' il messaggio del sindaco di Torino, Piero Fassino, per il Family Pride, che si svolgera' oggi pomeriggio nel centro cittadini. "Vi sono idealmente vicino in questa giornata di condivisione e di festa", ha sottolineato Fassino, che non partecipera' come annunciato in un primo momento al Gay Pride citatdino, perche' in lutto per la morte della madre, avvenuta ieri. " "E' tempo che il legislatore e la societa' civile riconoscano i diritti delle persone omosessuali e transessuali e il mondo della politica e delle istituzioni operi affinche' venga colmato il vuoto di norme a tutela di quei diritti, passo essenziale per abbattere il muro di pregiudizi e delle discriminazioni. La societa' di oggi, peraltro, conosce tante differenti forme di vincolo affettivo e familiare che necessitano di essere riconosciute, tutelate, sostenute e integrate" ha ammonito il sindaco.

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da La Stampa


Family Pride, il saluto del Sindaco:
“E’ tempo di riconoscere il diritto a vivere liberamente”

Carissimi, sapete che un grave lutto mi ha colpito e comprenderete che, per questa ragione, non posso essere tra voi, ma vi sono idealmente vicino in questa giornata di condivisione e di festa.

Riconoscere l’eguaglianza dei diritti di ogni persona - e tra questi il diritto a vivere liberamente il proprio orientamento sessuale - è questione irrinunciabile per ogni società che voglia dirsi democratica.

E’ tempo che il legislatore e la società civile riconoscano i diritti delle persone omosessuali e transessuali e il mondo delle politica e delle istituzioni operi affinché venga colmato il vuoto di norme a tutela di quei diritti, passo essenziale per abbattere il muro dei pregiudizi e delle discriminazioni. La società di oggi, peraltro, conosce tante differenti forme di vincolo affettivo e familiare che necessitano di essere riconosciute, tutelate, sostenute e integrate.

A Torino, dove si è costituito nel 1970 il primo movimento omosessuale italiano il “Fuori” e negli anni si sono succedute e consolidate molteplici iniziative contro l’Omofobia e la Transfobia, l’Amministrazione Comunale ha istituito nel 2001 un Servizio dedicato al superamento delle discriminazioni basato sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, essenziale per informare e contrastare le discriminazioni.

Forte di queste convinzioni, e riconfermando l’impegno della Città e mio personale, vi sono accanto. Il mio sincero e affettuoso saluto.

La paura vi arma, la frocia vi disarma

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Circolo Pink GLBTE Verona - Arcigay Pianeta Urano - Milk Center Verona - Arcilesbica Verona
Comunicato stampa con preghiera di pubblicazione

I fissati della famiglia, quella "tradizionale".
La Paura vi arma, la frocia vi disarma. 
 
Nei giorni scorsi a Vicenza i gruppi integralisti cattolici e di estrema destra hanno messo in atto la solita trita e ritrita protesta contro i "matrimoni gay" in vista del prossimo Vicenza Pride, che si terrà sabato 15 giugno nella città palladiana. (http://www.agerecontra.it/public/pres30/?p=11408)
 
Ci risiamo, ad ogni nostra uscita, che sia una manifestazione, un convegno, una iniziativa culturale, in questo caso una manifestazione per i dirittiecco che loro, integralisti cattolici e fascisti di varia origine e natura, sventolano i soliti fantasmi populisti per dire al mondo che siamo "malati". La cosa più buffa è che credono veramente a quello che scrivono sui loro striscioni e volantini da medioevo.
La potremmo definire propaganda da fast-food, forse buona per le masse ma che non tiene conto di molte altre questioni, di tante altre rivendicazioni che gay lesbiche e trans chiedono da anni, in primis una legge antidiscriminatoria, in Italia mai approvata. Non vogliamo fermarci solo alla richiesta di una parificazione dei diritti per le coppie dello stesso sesso, questo forse non lo hanno ancora capito, e si ostinano a spaventare i "bambini" con le solite storie ormai consunte.
Che il movimento omosessuale e transessuale da anni chieda una parificazioni sulla base dei diritti di coppia oltre che della singola persona è sotto gli occhi di tutte e tutti ma forse ci sono da fare dei distinguo, di che famiglie e "matrimoni" stiamo parlando, non certo del  modello etero-cattolico dominante fondato sulle leggi del patriarcato.
Ci sembra che la loro sia la classica paura atavica della diversità e della perdita di privilegi, fondata sul terrore che un altro modello di unione possa mettere in discussione
quello dominante, un modello di famiglia che è ormai scoppiato e, ormai è evidente, violento.
Se dovessimo valutare la famiglia etero-sposata attraverso tutti i casi di violenza domestica,  potremmo dire che è quello il tipo di famiglia di cui si dovrebbe avere paura ma è un modello che non appartiene a gay lesbiche e trans. Questo non lo hanno mai capito né lorsignori, impegnati nelle “messe riparatrici” officiate da preti integralisti e compari dei peggiori fascisti,  né tanti altri che in questa società sessista usano l'omofobia e la transfobia come arma per colpirci. Di noi hanno troppa paura, o forse hanno paura di non essere in fondo quei maschi  “machi machi”, capaci soltanto di usare la violenza come strumento di comunicazione. Un consiglio lo potremmo dare, siate un po' più creativi e aggiornatevi, non potete in alcun modo fermare l'onda frocia, la vostra è solo paura del cambiamento, che in Italia è sicuramente più lento che in altri paesi europei 
ma che è comunque in atto.
 
Andremo al Vicenza Pride e "pregheremo" affinché anche voi possiate comprendere che la diversità è un bene comune di cui non si deve avere paura.

Per chi volesse venire con noi al Vicenza Pride appuntamento sabato 15 giugno 2013 alla Stazione di Verona Porta Nuova ore 14.15 per poi andare alla parata a Vicenza.
Il treno parte alle 14.40, chi volesse può anche salire a Porta Vescovo.
 
Circolo Pink GLBTE Verona - Arcigay Pianeta Urano - Milk Center Verona - Arcilesbica Verona
tutte le info sul Vicenza Pride 2013 - http://www.vicenzapride.it/

Usa: Il Doma è morto

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Nozze gay, Corte suprema Usa boccia legge su matrimoni solo etero

WASHINGTON (Reuters) - La Corte suprema americana ha concesso una
significativa vittoria ai movimenti a tutela dei diritti dei gay,
riconoscendo agli uomini e donne legalmente sposati con persone dello
stesso sesso gli stessi vantaggi federali delle coppie eterosessuali e
aprendo la strada ai matrimoni gay in California.
La corte però ha evitato di pronunciarsi sul fatto che le coppie
dello stesso sesso abbiano il diritto costituzionale di sposarsi.
I due casi, entrambi passati per 5 voti a 4, riguardano la
costituzionalità di una parte chiave del Defense of marriage act (Doma)
- che nega i benefit alle coppie dello stesso sesso - e una legge della
California entrata in vigore nel 2008, la cosiddetta Proposition 8, che
vieta i matrimoni gay.

A Washington, un boato di gioia - da parte delle persone raccolte
fuori dalla corte in attesa del verdetto - ha accolto la notizia della
bocciatura del Doma.
"Il Doma è morto", gridava la folla, mentre coppie si abbracciavano e
piangevano.

"Il nostro matrimonio finora non era riconosciuto", ha spiegato
Patricia Lambert, 59, con la moglie Kathy Mulvey, 47. Sudafricana,
Lambert ha detto di non doversi più preoccupare ora del timore di
essere costretta a lasciare il paese in caso di scadenza del proprio
visto.

La corte ha ritenuto che il Doma violi le garanzie costituzionali di
uguale protezione degli individui.
Il capitolo 3 del Doma limita la definizione di matrimonio solo tra
uomo e donna per l'ottenimento dei benefit federali. Con la
cancellazione di questo articolo, la corte consente l'accesso ai gay
sposati a oltre 1.100 benefit, diritti e oneri derivanti dallo status
matrimoniale.
Il presidente Usa Barack Obama è stato il primo ad appoggiare i
matrimoni gay, ribadendo però più volte che sono una questione la cui
gestione riguarda i singoli stati.
Ma all'ultimo minuto la sua amministrazione è entrata nel caso della
California, sostenendo che le garanzie federali di uguaglianza
costituzionale vietano agli stati di limitare i matrimoni agli
eterosessuali.

Mixité et Maurice à Torino (Turin)

L-DAY #2 - Eventi di visibilità lesbica a Bologna

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Eventi di Visibilità lesbica negli spazi urbani nel giorno
dell'orgoglio lesbico gay trans.
Torna “L-DAY”, giornata di visibilità LGBTQI, ricca di contenuti artistici e politici.
Il 28 Giugno, data della rivolta di Stonewall (New York, 1969), è il giorno della "giornata mondiale dell'orgoglio e della visibilità LGBT". Nella seconda edizione di L-DAY, una serie di realtà appartenenti al movimento LGBTQI bolognese ripropone la visibilità della L, la lettera dell’acronimo che rappresenta la parola lesbica.
La Visibilità è fondamentale per scardinare stereotipi negativi, per far circolare immaginari non stereotipati della femminilità e della mascolinità e di modelli di genere “altri”, strumenti di lotta contro la violenza maschile sulle donne e contro la violenza lesbo/omo/transfobica.
Una festa con una molteplicità di eventi a partire dal primo pomeriggio in via del Borgo di San Pietro e in vicolo de' Facchini.
A cura di Fuoricampo Lesbian Group , Barattolo cafè, Elastico, Laboratorio Smaschieramenti

Dalle h. 17.00
Mostra > Scritta sul corpo | Quando la t-shirt diventa slogan.
@ Esposizione lungo via Borgo S.Pietro
A cura di Fuoricampo

Dalle h. 17.00
Mostra > La costruzione queer&femminista di un Barattolo.
@ Bar Barattolo, via Borgo S.Pietro 16
A cura di Barattolo

Dalle h. 17.00 alle 24
Banchetti prodotti di artigianato e info point
@ Lungo via Borgo S.Pietro

h. 19.00
Alessia Acquistapace presenta: reti di affetti,
intimità e cura oltre la coppia obbligatoria.
Interviene Porpora Marcasciano
@ Bar Barattolo , via Borgo S.Pietro 16
A cura di Laboratorio Smaschieramenti

h. 19.00
MRplastik – djset
@ SPaCe, via Borgo S.Pietro davanti n°14
A cura di Fuoricampo

h. 19.30
Video Box – queer unauthorised collection vol.I
proiezione non_stop di audiovisivi sull'esperienza queer
@ eLaSTiCo Vicolo de' Facchini 2/a
A cura di eLaSTiCo

h. 20
Paola Guazzo presenta: La riscrittura del mondo nella
letteratura lesbica:Alice Ceresa, Michèle Causse, Nicole Brossard
@ Salotto Letterario Fuoricampo, via Borgo S.Pietro davanti n°12
A cura di Fuoricampo

h. 20
Silly Goose – djset
@ Davanti eLaSTiCo, Vicolo de' Facchini 2
A cura di eLaSTiCo

h. 20:30
Mighty Mau – djset
@ Bar Barattolo, via Borgo S.Pietro 16
A cura di Barattolo

h. 22.00
Proiezione di LESBIANA – A Parallel Revolution
sezione OurStories festival Some Prefer Cake,
@ Sotto il portico di via Borgo S.Pietro
A cura di SPC-BLFF

La vita di Adele. Lost in (italian) translation: note sulla ricezione de La Vie d'Adèle sul web

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Paola Guazzo e Manuela Menolascina


La nostra recensione, ampiamente critica, della Vie d'Adèlevisto in anteprima francese qualche settimana fa, ha provocato alcune discussioni interessanti e un ricco dibattito riguardante il film in sé e ben oltre. Sono infatti state toccate alcune questioni politiche, sociali e di definizione dei soggetti rappresentati. Non potendo rispondere singolarmente ai commenti, che abbiamo pubblicato integralmente in calce alla recensione (http://guazzingtonpost.blogspot.fr/2013/10/la-vie-dadele-anteprima-con-nausea.html ), abbiamo rilevato alcuni punti problematici sui quali riteniamo opportuno tornare ad esprimerci.


Ironia


All'inizio del nostro articolo abbiamo citato alcuni film (Viola di Mare, Imagine me and you e Bound) di ampia distribuzione, non autoprodotti da lesbiche. Li abbiamo citati con un'ironia che il testo sembrava indicare in termini chiari, in quanto paradigmi di produzioni di non immenso spessore, ma a nostro avviso meno foriere di stereotipi negativi e stigmatizzanti rispetto alla Vie d'Adèle. Con altrettanta ironia è stata menzionata la “consulenza lesbica” nel film Bound, che resta comunque un film molto visto e apprezzato dalle lesbiche negli anni Novanta, nel quale non sono stati rilevati notevoli punti di dissonanza con la politica di empowerment del soggetto lesbico e con la sua stessa esistenza. L'intenzione del nostro discorso era quella di far notare che il film di Kechiche rappresenta un modello postdatato anche rispetto a produzioni più commerciali e meno recenti. Non a caso, e questa volta senza nessuna ironia, abbiamo citato come periodizzazione ideale gli anni Sessanta, con chiaro riferimento a L'assassinio di sister George (1968) e Quelle due (1962).
Ozpetek, infine, è stato citato perché i suoi modelli di socializzazione risultano comunque meno stereotipati rispetto alle famiglie e alle reti di amicizie lavorative, scolastiche, politiche ecc. del film di Kechiche, che si ferma alla binarietà borghese/proletaria e a una visione politicamente deprivata delle istanze di base del movimento lgbt e dell'importante e spesso doloroso processo di coming out, adolescenziale e non. Ovviamente il cinema di Ozpetek non è stato citato come modello assoluto, ma di minor involuzione, sempre con un' ironia che il testo ci sembrava palesare con nitidezza.
Ci siamo ovviamente prese dei rischi, non essendo l'ironia un registro comunicativo molto diffuso in Italia, nemmeno fra lesbiche. E in alcuni casi abbiamo perso. Lost in translation? Sometimes.


Stereotipi e stigma


Non ci interessa dibattere con chi, in nome del recente regista consacrato a “maestro” dalla giuria di Cannes e del cosiddetto “cinema d'autore”, ha giustificato qualsiasi distorsione del corpo lesbico - e delle donne - alimentando, in modo surrettizio e non, stereotipi e stigmatizzazioni. Ci interessa parlare alle lesbiche che, in qualche modo, hanno gradito la rappresentazione, leggendola come paradigma di una storia d'amore ben raccontata.
Perché è piaciuto il siparietto di Kechiche? Poniamo semplicemente delle questioni. Voi siete passate in un tempo velocissimo dall'infatuazione per la vostra prima fidanzatina del liceo al sesso selvaggio e quasi sadomasochista con la medesima? Rilevate un'alta frequenza di pacche sul culo all'interno dei vostri rapporti sessuali fin da tempi adolescenziali? Da “a piedi nudi nel parco” a un film porno senza passare dal via, come nel gioco dell'oca o nel monopoli?
Siete passate con altrettanta fulmineità dalla passione sessuale meramente anal-genitale ad una vita domestica bloccata, in cui la vostra fidanzata butch vi fa cucinare e servire tonnellate di cibo per la mixité di amici suoi e non vostri?
L'allure butch è forse cambiata a tal punto? Noi due autrici del pezzo abbiamo età diverse (49 e 28) ma non ricordiamo butch-maschio di questo tipo. Di solito le butch, ci risulta da molte esperienze personali, fanno dono di sé sia sessualmente che affettivamente e non sono mai seconde nel preparare un'omelette, nell'occuparsi dei convivi... Ci risulta che financo gli ftm siano devoti alla vita domestica, se non altro per rompere con un maschile stereotipato ormai fuori moda, se proprio vi pare vetero parlare di politica e volete parlare solo di “tendenze”.
I Pride sono per voi soltanto simpatiche occasioni per ballare e ululare con la cumpa lgbt?
La femme, appena lievemente trascurata dalla butch per la quale ha sparecchiato caracollando su tacchi imposti, non perde l'occasione di farsela con il primo scemetto di turno?
La butch, scoperto il tradimento, sospetta per prima cosa orridi rapporti orali etero in macchina? Ha questo chiodo fisso, dettato da una incontrovertibile invidia penis?La lettura freudiana di Teresa de Lauretis ha portato tutto questo scompiglio nella vita di coppia?
Forse l'atroce sospetto di avoir sucé dans la voiture (sic)è stato omesso nella versione italiana? La butch, tradita, immediatamente mette su famiglia con una calasciona incinta e non vuole sapere più niente del suo cosiddetto grande amore? Ma Baglioni, dov'è?
Invita l'ex grande amore al vernissage dei suoi quadri, dove tra l'altro viene rappresentata in un mènage à trois con la nuova “mogliettina”, solo per farla sukare?
Se avete risposto sì alla maggior parte di queste domande, la Vita di Adele è il film-vita per voi. Libere tutte di essere infelici e umiliate, nonché di fregiarvi comunque di rappresentazioni consacrate dall'industria del grande cinema globalizzato, credendo di vivere grandi amori e passioni incancellabili al ritmo di pacche sul culo.
A noi il film è sembrato incoraggiare solo l'incontenibile, debordante e deformante rappresentazione di uno stigma che ben può proliferare in una società itagliana mangiante pasta Barilla.
Tra l'altro, lo spaghetto alla bolognese è un leit motiv dei pranzi di Adele. E non è assolutamente all'altezza delle “tagliatelle di nonna Pina” della nostra tradizione italiana, che ha prodotto film di ben maggiore qualità estetica e politica, come Il padre delle spose con Lino Banfi. Stavolta lo diciamo senza nessuna ironia.


Osservazioni romane


La vie d'Adèleè stato l'unico film a tematica lesbica recensito positivamente dall' “Osservatore romano”, celebrato come sinfonia sull'adolescenza e sfolgorio di passioni che diventano “naturali” e accettabili socialmente, affermando il trionfo di un'eterosessualità obbligatoria auspicabile dal papato, anche in versione Francesco I.


Link


Per comprendere l' “adattamento” di Kechiche vi rimandiamo al blog dell'autrice del fumetto da cui è stato, in parte, tratto la Vie d'Adèle http://www.juliemaroh.com/2013/05/27/le-bleu-dadele/ e alla sua recensione su questo stesso blog http://guazzingtonpost.blogspot.fr/2013/10/il-blu-e-un-colore-caldo-da-cui-e-stato.html. Sul blog di Maroh è disponibile anche una traduzione inglese del suo pensiero, per le non francofone. Per le non anglofone vedi la traduzione italiana https://femminismi.wordpress.com/2013/07/30/la-vie-dadele-in-italiano-parla-lautrice/




Auspici


Parlare di rappresentazione ed autorappresentazione lesbica nel cinema è comunque un'esperienza interessante. Speriamo che il coinvolgimento non si esaurisca con il dibattito su Kechiche. Sarebbe triste. Ci sono molte cose da dire in termini diversi e più appropriati, parole e immagini che vanno ben oltre i fantasmi autoriali e un'operazione di marketing sulla nostra “pelle”.
Forse ad alcune la vita di Adele è piaciuta perché troppo spesso non c'è altro e il fantasma dell'invisibilità può indurre all'accettazione dello status quoe talora alla celebrazione di immagini sfasate rispetto al vissuto. Noi vogliamo altro. Noi vogliamo l'altra.


Domani nasce Sylvia Plath

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Sylvia Plath (27 ottobre 1932- 11 febbraio 1963). Questo blog vuole ricordarla con una poesia di Manuela Menolascina.


IN MORTE DI S.P. 

Toc , toc 
Bussa l'eterna consolatrice alla porta vittoriana di Fitzroy Square
Per favore chiamate il dottor Horder.
Prende la forma di gas ,ultimo afflato lirico di colei che la invoca, brama, sublima da circa 20 anni
Per favore chiamate il dottor Horder.
Si insinua dolcemente, cullando lentamente la bellezza gotica, quasi maternamente 
Dalle narici fino agli interstizi cerebrali,
Per favore chiamate il dottor Horder.
La pelle vien via a squame, non una goccia di sangue da mostrare alla peanut-crunching crowd,
Per favore chiamate il dottor Horder .
Il pane imburrato e il succo d'arancia spettatori impassibili,
La cucina ha l'aspetto composto ed asettico di un obitorio,
Per favore chiamate il dottor Horder.
Le esalazioni di gas si fanno nunzie e trasmettono la torcia del compimento, dell'opus magnum
Da poetic mother a poetic daughter in uno scambio di umori lirici tutto saffico,
Per favore chiamate il dottor Horder.
Ora finalmente i fiori troveranno tempo per te, nell'orizzontalità che tanto anelavi
Per favore chiamate il dottor Horder.


Manuela Menolascina

Nadezha delle Pussy Riot - Lettere dal carcere

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Mentre si leggono, sul web, note di agenzia sulla ripresa dello sciopero della fame, su un trasferimento e forse una scomparsa, pubblichiamo - tratte da una mailing list femminista, dove sono state tradotte - le lettere dal carcere di Nadezha.


Nadezhda Tolokonnikov delle Pussy Riot

Questo lunedì 23 settembre, inizio lo sciopero della fame. E’ un metodo estremo, ma sono assolutamente sicura che rimane l’unica soluzione nella situazione in cui mi trovo.
La direzione della colonia penale rifiuta di ascoltarmi. Ma non rinuncerò alle mie rivendicazioni, non intendo rimanere senza parlare né guardare senza protestare la gente che cade dallo sfinimento, ridotta in schiavitù dalle condizioni di vita che prevalgono nella colonia. Esigo il rispetto dei diritti umani nella colonia, esigo il rispetto delle leggi in questo campo della Mordovia. Esigo che veniamo trattate come esseri umani anziché come schiave.
Un anno fa sono arrivata alla colonia penale n° 14 del paese di Parts. Le detenute dicono: «Chi non ha conosciuto i campi della Mordovia semplicemente non ha conosciuto i campi». Avevo sentito parlare dei campi della Mordovia allora, quando ero ancora nel carcere preventivo n°6 di Mosca. Laggiù il regolamento è più duro, le giornate lavorative più lunghe e i soprusi più flagranti. Quando partite per la Mordovia, ci si congeda da voi come se partiste per il martirio. Fino all’ultimo, ognuna spera – «forse, nonostante tutto, non sarà la Mordovia? Forse ci sfuggirò?» Non ci sono sfuggita e nell’autunno del 2012, sono arrivata nella regione dei campi sulle rive del fiume Partsa.
La Mordovia mi ha accolta con la voce del vice direttore capo del campo, il tenente-colonnello Kuprianov, che esercita di fatto il comando nella colonia n° 14: «E sappia che dal punto di vista politico, sono uno stalinista.» L’altro capo (dirigono la colonia in tandem), il colonnello Kulaghin, mi ha convocata il primo giorno per un colloquio che aveva per scopo di costringermi a confessare la mia colpa. «Le è successa una disgrazia. Non è forse vero? Le hanno dato due anni di campo. Di solito, quando le succede una disgrazia, la gente cambia il proprio punto di vista sulla vita. Deve riconoscersi colpevole per usufruire della liberazione anticipata. Se non lo fa, non ci sarà nessun condono»
Ho subito dichiarato al direttore che intendevo effettuare soltanto le otto ore di lavoro quotidiano previste dal Codice del Lavoro. «Il Codice del Lavoro è una cosa; l’essenziale è rispettare le quote di produzione. Se non si rispettano, si fanno delle ore supplementari. E poi, qui, ne abbiamo piegato parecchie più dure di lei!» mi ha risposto il colonnello Kulaghin.
Tutta la mia brigata nel laboratorio di cucito lavora dalle 16 alle 17 ore quotidiane. Dalle 7.30 fino a mezzanotte e mezza. Nel migliore dei casi, rimangono quattro ore di sonno. Abbiamo un giorno di ferie ogni sei settimane. Quasi tutte le domeniche sono lavorative. Le detenute presentano richieste di deroga per lavorare durante i giorni festivi, «di loro iniziativa», secondo la formula in uso. In realtà, ovviamente, è tutto tranne che di loro iniziativa; le richieste di deroga sono scritte su ordine della direzione del campo e sotto la pressione delle detenute che ritrasmettono la volontà dell’amministrazione.
Nessuna osa disubbidire (rifiutare di scrivere una richiesta che autorizzi a lavorare di domenica, non lavorare fino all’una di notte). Una cinquantenne aveva chiesto di tornare negli edifici abitativi alle venti anziché a mezzanotte, per potersi coricare alle 22.00 e dormire otto ore, almeno una volta alla settimana. Si sentiva male, aveva problemi di pressione. In risposta, ci fu una riunione della nostra unità dove l’hanno rimproverata, l’hanno insultata ed umiliata, l’hanno chiamata parassita. «Credi di essere l’unica ad avere sonno? Bisognerebbe legarti ad un aratro, grossa vacca!» Quando il medico dispensa dal lavoro una delle donne della brigata, anche in questo caso, le altre le piombano addosso: «Io sono andata a cucire perfino con 40° di febbre! Ci hai pensato a chi dovrà fare il tuo lavoro?»
Al mio arrivo sono stata accolta nella mia brigata da una detenuta che era vicina alla fine dei suoi nove anni di campo. Mi ha detto: «I secondini non oseranno fare pressione su di te. Le detenute lo faranno per conto loro.» E infatti il regolamento è concepito in modo tale che ad essere incaricate di sfiancare la volontà delle donne, di terrorizzarle e trasformarle in schiave mute sono le detenute fungono da capi squadra o responsabili di unità.
Per mantenere la disciplina e l’ubbidienza nel campo, esiste tutto un sistema di punizioni informali: «rimanere nel cortile fine allo spegnersi delle luci» (proibizione di entrare nelle baracche, che sia autunno oppure inverno – nella squadra n° 2, quella delle handicappate e delle pensionate, c’è una donna alla quale hanno amputato un piede e tutte le dita delle mani: era stata costretta a passare un’intera giornata nel cortile – piedi e mani si erano congelati), «vietare l’accesso all’igiene» (divieto di lavarsi e di andare in bagno), «vietare l’accesso alla mensa e alla caffetteria» (divieto di mangiare il proprio cibo, di consumare bibite calde). C’è da ridere e da piangere quando una quarantenne dice: «Ma insomma,oggi siamo punite! Ma ci puniranno anche domani, mi chiedo?». Non può uscire dal laboratorio per fare la pipì, non può prendere una caramella dalla borsa. Vietato.
*****

Ossessionata dal sonno, sognando soltanto un sorso di tè, la prigioniera spossata, molestata, sporca, diventa un materiale docile alla mercé dell’amministrazione, che vede in noi soltanto una manodopera gratuita. Nel giugno del 2013, il mio stipendio era di 29 rubli (meno di un euro!). Mentre la brigata produceva 150 divise di poliziotti al giorno. Dove finisce il prodotto della vendita di queste divise?
Varie volte, il campo ha incassato sussidi per cambiare completamente le attrezzature. Ma la direzione si è accontentata di far ridipingere le macchine per cucire dalle detenute stesse. Dobbiamo cucire con macchine obsolete e scalcinate. Secondo il Codice del Lavoro, se le condizioni delle attrezzature non corrispondono alle norme industriali contemporanee, le quote di produzione devono essere diminuite rispetto alle quote-tipo del settore. Ma le quote di produzione non smettono di aumentare. A sbalzi e senza preavviso.
«Se gli lasciamo capire che possiamo fare 100 divise, alzeranno il livello fino a 120» dicono le operaie esperte. Ora, non si può non fabbricarli – oppure tutta la squadra verrà punita, tutta la brigata. Ad esempio, sarà costretta a rimanere parecchie ore in piedi sulla piazza d’armi. Con la proibizione di andare in bagno. Con la proibizione di bere un sorso d’acqua.
Due settimane fa, la quota di produzione per tutte le brigate della colonia penale è stata arbitrariamente aumentata di 50 unità. Se prima la norma era di 100 divise al giorno, ora diventava 150. Secondo il Codice del Lavoro, i lavoratori devono essere avvisati dei cambiamenti delle quote di produzione almeno due mesi in anticipo. Nella colonia n°14, ci svegliamo un bel giorno con una nuova quota, perché è saltato in mente ai nostri «mercanti di sudore», così le detenute hanno soprannominato la colonia. Gli effettivi della brigata diminuiscono (alcune sono liberate, altre trasferite), ma le quote di produzione aumentano, e coloro che rimangono lavorano sempre più duro.
*****
I meccanici ci dicono che non hanno i ricambi necessari alle riparazioni e che non bisogna contarci: «Quando li riceviamo? Ma dove credi di essere per fare simili domande? Qui siamo in Russi, no?»
In qualche mese alla fabbrica della colonia, ho praticamente imparato il mestiere di meccanico. Per forza e sul campo. Mi buttavo sulle macchine con il cacciavite in mano, in un tentativo disperato di aggiustarle. Per quanto le tue mani siano coperte di punture d’ago, di graffi e ci sia sangue dappertutto sul tavolo, provi comunque a cucire. Perché sei una anellino di questa catena di produzione e la tua parte di lavoro è indispensabile che tu la faccia alla stessa velocità delle sarte esperte. E questa dannata macchina che si guasta ogni due secondi!
Poiché sei la pivellina, e vista la carenza di attrezzature di qualità nel campo, a te ovviamente tocca il peggior motore della catena. Ed ecco che il motore si guasta di nuovo, ti precipiti alla ricerca del meccanico (introvabile), le altre ti urlano contro, ti accusano di far naufragare il piano, ecc. Nella colonia non è previsto nessun tirocinio alla professione di sarta. Si sistema la pivellina al suo posto di lavoro e le viene dato un compito.
«Se non fossi la Tolokonnikova, da molto tempo ti avremmo sistemata» – dicono le detenute in buoni rapporti con l’amministrazione. E infatti le altre sono picchiate. Quando sono in ritardo nel lavoro. Sulla schiena, sulla faccia. Sono le detenute stesse a picchiare, ma non succede nessun pestaggio nella colonia che non sia approvato dall’amministrazione. Un anno fa, prima del mio arrivo, è stata pestata a morte una Zingara nell’unità 3 (l’unità 3 è l’unità punitiva, è li che vengono mandate dall’amministrazione quelle che devono subire pestaggi quotidiani). È morta all’infermeria della colonia 14. L’amministrazione è riuscita a nascondere che era morta durante il pestaggio: come causa del decesso hanno segnato attacco cerebrale.
In un’altra unità, le sarte novelle, che non riuscivano a completare la norma, sono state costrette a svestirsi e a lavorare nude. Nessuna osa lamentarsi presso l’amministrazione, perché l’amministrazione ti risponderà con un sorriso e ti rispedirà nella tua unità, dove, per aver fatto la spia, verrai riempita di botte, su ordine di quella stessa amministrazione. Questo nonnismo controllato è un mezzo comodo per la direzione per sottomettere completamente le detenute a un regime di mancanza di diritti.
Nel laboratorio prevale un’atmosfera di nervosismo sempre foriera di minacce. Le donne, che mancano costantemente di sonno e che vengono continuamente stressate da questa corsa disumana alla produzione, sono pronte a esplodere, a urlare, a battersi per il minimo pretesto. Non molto tempo fa, una ragazza ha ricevuto una forbiciata alla tempia perché non aveva fatto passare abbastanza in fretta un pantalone. Un’altra volta, una detenuta ha provato ad aprirsi la pancia con una sega. Si è riuscite a fermarla.
Quelle che erano alla colonia 14 nel 2010, l’anno degli incendi (delle foreste) e del fumo, raccontano che mentre l’incendio si avvicinava ai muri del recinto, le detenute continuavano ad andare a lavorare e a rispettare la norma. Non si vedeva a due metri a causa del fumo., ma le donne si erano legate fazzoletti umidi attorno al viso e continuavano a cucire. Per via dello stato di emergenza non erano più portate in mensa. Alcune donne mi hanno raccontato che avevano una fame spaventosa e che tenevano un diario per annotare l’orrore di quei giorni. Una volta spenti gli incendi, i servizi di sicurezza hanno perquisito le baracche da cima a fondo e confiscato i diari, in modo che niente trasparisse fuori.
*****
Le condizioni sanitarie nella colonia sono concepite in modo che il detenuto si senta una bestia sporca ed impotente. E benché ci siano servizi igienici in ogni unità, l’amministrazione ha immaginato, con uno scopo punitivo e pedagogico, un «locale igienico comune»: cioè una stanza prevista per 5 persone, dove tutta la colonia (800 persone) deve andare a lavarsi. Non abbiamo il diritto di lavarci nei servizi delle nostre baracche, sarebbe troppo comodo!
Nel «locale igienico comune», regna il parapiglia permanente e le donne, armate di bacinelle, provano a lavarsi più in fretta possibile «la loro nunù» (così si dice in Mordovia) arrampicandosi le une sulle altre. Abbiamo il diritto di lavarci i capelli una volta alla settimana. Ma pure questa «giornata del bagno» a volte è cancellata. Il motivo: una pompa che ha ceduto, una tubatura ostruita. E’ successo che un’unità non possa lavarsi per due o tre settimane.
Quando un tubo si ostruisce, l’urina rifluisce dai servizi verso i dormitori e gli escrementi risalgono a mucchi. Abbiamo imparato a sturare noi stesse le tubature, ma le riparazioni non durano molto, si ostruiscono ancora e ancora. Non c’è una sonda per sturare le tubature nella colonia. Si fa il bucato una volta alla settimana. La lavanderia è uno stanzino con 3rubinetti dai quali sgocciola un filo di acqua fredda.
Sempre con uno scopo educativo, bisogna credere, le detenute ricevono soltanto pane duro, latte generosamente annacquato, cereali sempre rancidi e patate marce. Quest’estate la colonia ha ricevuto una grossa partita di tuberi nerastri ed appiccicosi. Che ci hanno fatto mangiare.
Si potrebbe parlare senza fine delle condizioni di vita e di lavoro nella colonia 14. Ma il rimprovero principale che le faccio è di un altro ordine. È che l’amministrazione fa il possibile per impedire che la minima denuncia, la minima dichiarazione riguardo alla colonia 14 esca dalle sue mura. Il più grave sta nel fatto che la direzione ci costringe al silenzio. Senza fermarsi davanti ai mezzi più bassi e più subdoli. Da questo problema derivano tutti gli altri: le quote di lavoro eccessive, la giornata lavorativa di 16ore, ecc.
La direzione si sente invulnerabile e non esita ad opprimere sempre più le detenute. Non riuscivo a capire i motivi per cui tutte tacevano, prima di dover affrontare io stessa il mucchio di ostacoli che si ergono di fronte al detenuto che ha deciso di agire. I reclami non possono uscire dal territorio della colonia. Unica possibilità: fare uscire i reclami tramite il legale o la famiglia. L’amministrazione, meschina e rancorosa, usa tutti i mezzi di pressione affinché il detenuto capisca che la sua lamentela non gioverà a nessuno. Potrà solo peggiorare le cose. La direzione ricorre alle punizioni collettive: ti lamenti che non ci sia l’acqua calda? Si taglia l’acqua del tutto.
*****
Nel maggio 2013, il mio legale, Dmitri Dinze, ha presentato una denuncia alla Procura Generale contro le condizioni di vita nella colonia 14. Il tenente-colonnello Kuprianov, vicedirettore del campo, ha immediatamente introdotto condizioni insostenibili nel campo: perquisizioni a ripetizione, rapporti su tutte le persone in relazione con me, confisca dei vestiti caldi e minaccia di confiscare pure le calzature calde. Al lavoro si sono vendicati dandomi lavori di cucito particolarmente complessi, aumentando le quote di produzione e provocando imperfezioni artificiali. La capa della brigata vicina alla mia, braccio destro del tenente-colonnello Kuprianov, spingeva apertamente le detenute a strappare la produzione sotto la mia responsabilità nel laboratorio, affinché fossi spedita in cella per «degrado di beni pubblici». La stessa ha ordinato a delle detenute della sua unità di provocarmi a una rissa.
Si può sopportare tutto. Tutto ciò che riguarda soltanto sé stessi. Ma il metodo della responsabilità collettiva in vigore nella colonia ha delle conseguenze più gravi. Per ciò che fai, soffre tutta la tua unità, tutto il campo. E, cosa più perversa: ne soffrono tutte coloro che ti sono diventate care. Una mia amica è stata privata della liberazione anticipata, liberazione che cercava di meritare con il suo lavoro, rispettando ed anzi superando la sua quota di produzione: ha ricevuto una nota di biasimo perché, io e lei, avevamo presso insieme un bicchiere di tè. Lo stesso giorno, il tenente-colonnello Kuprianov l’ha fatta trasferire in un’altra unità.
Un’altra mia conoscente, una donna molto colta, è stata spedita all’unità punitiva, dove viene picchiata tutti i giorni, perché ha letto e commentato con me il documento intitolato «Regolamento interno dei centri penitenziari». Sono stati compilati rapporti su tutte le persone in contatto con me. Ciò che mi faceva male, era vedere perseguitare donne che mi sono vicine. Allora il tenente-colonnello Kuprianov mi disse, ridacchiando: «Non ti devono rimanere molte amiche!» E mi spiegò che tutto ciò succedeva a causa della denuncia del mio legale.
Adesso capisco che avrei dovuto dichiarare lo sciopero della fame fin dal mese di maggio, nella situazione di allora. Ma di fronte alla pressione terribile che l’amministrazione imponeva alle altre detenute, avevo sospeso i miei reclami contro la colonia.
Tre settimane fa, il 30 di agosto, ho inviato al tenente-colonnello Kuprianov una richiesta affinché conceda 8 ore di sonno a tutte le detenute della mia brigata. Si trattava di diminuire la giornata lavorativa da 16 a 12 ore. Ha risposto: «Benissimo, da lunedì la brigata lavorerà soltanto otto ore». So che era un tranello perché in otto ore è fisicamente impossibile rispettare la nostra quota di cucito. Di conseguenza, la brigata non ce la farà e verrà punita.
«E se vengono a sapere che tutto ciò succede per colpa tua, ha continuato il tenente-colonnello, mai più ti sentirai male, perché nell’altro mondo uno si sente sempre bene.» Dopo una pausa il tenente-colonnello ha aggiunto: «Ultima cosa: non chiedere mai niente per le altre. Chiedi soltanto per te stessa. Sono anni che lavoro nei campi e tutti coloro che vengono a chiedermi qualcosa per qualcun altro finiscono direttamente in cella all’uscita del mio ufficio. Tu sarai la prima a cui non succederà.»
Nelle settimane successive, nell’unità e in laboratorio, le condizioni sono diventate insostenibili per me. Le detenute vicine all’amministrazione hanno cominciato a spingere le altre a vendicarsi: «Ecco, siete punite per una settimana: vietato prendere il tè e mangiare fuori dalla mensa, vietate le pause toilette e le sigarette. D’ora in poi, sarete punite tutto il tempo se non cambiate comportamento con le pivelline e particolarmente con la Tolokonnikova; fate loro ciò che è stato fatto a voi. Siete state menate, neh? Vi hanno rotto il muso di sicuro? Allora spaccateglielo anche a loro. Per questo, nessuno vi rimprovererà.»
Più di una volta hanno cercato di trascinarmi in conflitti e risse, ma che senso avrebbe entrare in conflitto con delle donne che non sono libere dei loro atti e agiscono su ordine dell’amministrazione?
Le detenute della Mordovia hanno paura della propria ombra. Sono terrorizzate. E se ieri ancora erano ben disposte verso di me ed imploravano: «Fa qualcosa per le 16 ore lavorative», dopo la pressione che la direzione ha fatto pesare su di me, hanno pure paura di rivolgermi la parola.
Ho proposto all’amministrazione di placare il conflitto, di porre fine alla tensione artificialmente alimentata contro di me dalle detenute sottomesse all’amministrazione, così come alla schiavitù dell’intera colonia riducendo la giornata lavorativa e riportando le quote di produzione alla norma prevista dalla legge. Ma in risposta, la pressione è ancora salita. Perciò, da questo lunedì 23settembre, inizio uno sciopero della fame e rifiuto di partecipare al lavoro da schiave nel campo, fintanto che la direzione non rispetterà le leggi e non tratterà le detenute non più come bestiame offerto ad ogni arbitrio per i bisogni della produzione tessile, ma come persone umane.

Viaggi e miraggi su Radio Popolare, fra la Vie d'Adèle e Mary McCarthy

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L'Altro Martedì la trasmissione di cultura ed informazione omosessuale e transgender di Radio Popolare 
 5 novembre dalle ore 21.30 alle ore 22.30 
streaming su http://www.radiopopolare.it/

    • La vie d'Adèle: il dibattito italiano su un film che non dicono lesbico, ma dove le lesbiche sono sempre in primo piano e  Mary Mc Carthy, Il gruppo: un libro da riscoprire. A cura di Paola Guazzo. 

    Chirlane McCray: bisex, nera, first sindaca a New York

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    05-11-2013 - La Stampa - MAURIZIO MOLINARI
    LIBERAL, NERA E PRO-GAY - NEW YORK ASPETTA UNA FIRST LADY D’ASSALTO
    ...come scrittrice debuttò con «Sono una lesbica», conquistò il futuro marito grazie ad un piercing al naso ed ora promette di «dar voce agli emarginati» se diventerà First Lady di New York. ...
    Le maestre a scuola la giudicavano «combattiva», per reagire agli insulti razzisti firmò un articolo sul giornale del liceo, come scrittrice debuttò con «Sono una lesbica», conquistò il futuro marito grazie ad un piercing al naso ed ora promette di «dar voce agli emarginati» se diventerà First Lady di New York. Chirlane McCray, classe 1954, è una combattente per natura e il primo ad assicurarlo è il marito Bill de Blasio preannunciando ai newyorchesi: «Se io sarò sindaco, lei farà l’attivista».

    Per conoscere Chirlane bisogna partire da Longmeadow, il sobborgo di Springfield in Massachusetts dove arriva con i genitori quando ha da poco compiuto 10 anni. Sono la seconda famiglia afroamericana immersa in una comunità di bianchi, che li accoglie a colpi di petizioni in cui gli chiede di andarsene. Chirlane è la maggiore di tre sorelle, nella scuola dove va è l’unica afroamericana e viene bersagliata da insulti, offese, scherni, bullismo. Il padre, dipendente in una vicina base militare, e la madre, operaia elettrotecnica, le fanno capire che ciò che conta è studiare: non deve farsi contagiare dal razzismo. Il risultato è che la sera a cena non racconta ai genitori gli insulti subiti e in classe non subisce ma «si batte a viso aperto», come ricordano ancora oggi le maestre.

    Fino al punto da sorprendere tutti quando, in un articolo scritto sul giornalino scolastico svela a chiare lettere quanto e cosa subisce. «Una volta venne attaccata da un gruppo di coetanei, la strattonavano, le gridavano contro - ricorda l’ex insegnante Michael McCharty - e lei stava in piedi davanti a loro, gli diceva ad alta voce che si stavano comportando male, per una bambina di quell’età significa avere molto carattere».

    Il razzismo era ovunque, «avevamo vicini gentili ma gli incidenti non mancavano» assicura la sorella Davis, ribadendo che «a casa di queste cose i nostri genitori non volevano sentire parlare». E dunque le tre ragazze dovevano vedersela da sole. Quando Chirlane entra al Wellesley College è una femminista convinta. Nel 1979 firma sul magazine «Essence» un articolo intitolato «I’m a Lesbian», sono una lesbica. Anni dopo dirà che voleva sfatare il tabù della presenza di gay fra gli afroamericani, precisando che la sua sessualità appartiene solo a lei e «odio ogni tipo di etichette».

    L’incontro con Bill de Blasio avviene nel 1991. Entrambi lavorano nel team del sindaco democratico David Dinkins. Lei contribuisce a scrivere alcuni discorsi, lui è il braccio destro del vicesindaco. Chirlane fa colpo su di lui perché sfoggia un piercing al naso. Si vedono per la prima volta dentro City Hall. Con lei c’è l’amica Laura Hart che ricorda così quel momento: «Chirlane mi disse “Questo de Blasio chi è? Continua a chiamarmi ma non capisco cosa vuole!”».

    Bill era incuriosito dal piercing. «A quell’epoca non era una cosa comune» ammetterà dopo le nozze nel 1994 da cui nascono i figli Chiara e Dante, che oggi hanno rispettivamente 18 e 16 anni. Negli anni seguenti Chirlane lavora nelle pubbliche relazioni per Citigroup e fino al 2010 è nel marketing al Maimonides Medical Center - dove lo stipendio raggiunge i sei zeri - ma ciò che più ama resta scrivere, non solo articoli sui «disagiati» ma anche poesie. Una sua raccolta di strofe si intitola «Home Girls: A Black Femminist Anthology».

    La sorella Davis assicura che «lei e Bill sono un’unica mente» e la candidatura di lui significa anche per lei essere in prima fila. «Sono qui per dare voce a chi viene dimenticato» ripete Chirlane nei comizi e nelle interviste, riferendosi anzitutto «alle donne ed ai bambini in condizioni di bisogno».

    Vocazione per il prossimo e forte determinazione portano a prevedere che potrebbe diventare la First Lady con il profilo più marcato che New York abbia avuto. È lo stesso marito-candidato a prevederlo: «Se vinco, mia moglie sarà un’attivista». Da qui la curiosità per le molte decisioni, fra pubblico e privato, che incombono su di lei. Prima fra tutte se lasciare la casa di Park Slope, a Brooklyn, per trasferirsi a Gracie Mansion, storica residenza dei sindaci nel Upper East Side di Manhattan. «Decideremo a tempo debito - assicura - ma ciò che conta è Dante, che ama Brooklyn e studia al Brooklyn Tech». Parola di Chirlane, che ha fatto anche la ballerina e confessa di avere un punto debole: «Non sopporto le cose che non riesco a controllare».

    Barilla, il mulino rainbow?

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    05-11-2013 - Vari -
    LA SVOLTA DI BARILLA, SPOT PER L’«INCLUSIONE»
    Diritti e responsabilità sociale nel nuovo progetto mondiale dopo la gaffe sugli omosessuali
    da Corriere della Sera



    La svolta di Barilla, spot per l’«inclusione»

    Diritti e responsabilità sociale nel nuovo progetto mondiale dopo la gaffe sugli omosessuali

    DAL NOSTRO INVIATO PARMA — Se tra qualche mese, al posto del rassicurante e politicamente corretto Mulino Bianco, vi ritroverete uno spot, diciamo così, più «creativo», meno in linea con le tradizioni, non vi stupite: vuol dire che la Barilla, dopo la gaffe di fine settembre del suo presidente Guido («Non faremo pubblicità con omosessuali perché a noi piace la famiglia tradizionale» le sue parole alla trasmissione radiofonica La Zanzara ), non solo si è rimessa in carreggiata, ma, facendo tesoro di una lezione piuttosto amara (in termini di immagine, ma pure sotto l’aspetto economico), ha saputo compiere un bel balzo in avanti su un terreno scivoloso e in continua evoluzione come quello dei diritti.
    Chi l’ha detto che gli scivoloni sono sempre una disgrazia? Dopo che Guido Barilla, con le sue dichiarazioni, aveva fatto infuriare le comunità gay (e non solo) di mezzo mondo, spingendo addirittura il premio Nobel Dario Fo, che della multinazionale della pasta fu tra i primi testimonial, a lanciare una petizione dal titolo «Caro Guido, dove c’è amore c’è famiglia», l’azienda è corsa ai ripari, evitando le barricate. Prima sono arrivate le pubbliche scuse di Guido, tradotte urbi et orbi visto che gli interessi Barilla avvolgono mezzo mondo. Poi lo stesso presidente è andato a Canossa, incontrandosi a Bologna con i responsabili di Lgbt (Lesbiche, gay, Bisessuali e Transgender), capeggiati dal leader storico, Franco Grillini.
    E ora, a due mesi dalla gaffe, la controffensiva. Un vero e proprio piano su scala mondiale (con un occhio di riguardo al ghiotto mercato Usa) per fare della Barilla una delle punte avanzate lungo la frontiera della diversità, dell’inclusione e della responsabilità sociale. «Come impresa che serve e rispetta tutti i consumatori — ha affermato Luca Virginio, direttore delle relazioni esterne — sappiamo di dovere rafforzare il nostro impegno, diventando un’azienda globale leader per diversità e inclusione». Un progetto a tappe, che prenderà corpo nei prossimi mesi, ma le cui basi sono già state gettate. A cominciare dagli apporti esterni. Due nomi, la cui storia è tutto un programma in materia, hanno già accettato l’invito a far parte del «Diversity e Inclusion Board», una sorta di cabina di regia composta da consulenti indipendenti che pianificherà obiettivi e strategie sia sul versante interno alla multinazionale (dipendenti e cultura aziendale) che esterno. Uno è Alex Zanardi, 47 anni, ex pilota di Formula Uno che perse in un incidente l’uso delle gambe per poi conquistare la medaglia d’oro alle Paraolimpiadi di Londra. L’altro è lo statunitense David Mixner, 67 anni, attivista per i diritti civili e leader mondiale delle comunità Lgbt: «Sono onorato — ha dichiarato — di far parte di questo progetto e apprezzo molto la volontà del presidente e dell’azienda di ascoltare e imparare dai leader della comunità Lgbt».
    Una strategia a più facce. Dal 2014 verrà lanciato online un concorso sulla diversità: «I partecipanti potranno inviare brevi video sui quali prima la comunità web esprimerà il proprio apprezzamento e quindi una giuria di esperti sceglierà i vincitori, che saranno premiati». Sarà inoltre creata la figura del «Chief Diversity Officer» del gruppo: la prescelta è Talita Erickson, avvocato di origine brasiliana, direttore Affari legali di Barilla America. Un altro degli obiettivi è riuscire a ritagliarsi uno spazio nella Corporate Equality Index, annuale classifica stilata dall’associazione Human Rights Campaign che premia le aziende statunitensi più «gay-friendly». L’accelerazione del gruppo piace a Franco Grillini, che incontrò Barilla dopo la gaffe: «All’estero le esperienze aziendali sulle diversità sono un fatto consolidato e creano maggior benessere e produttività».
    Francesco Alberti

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    da TMNews

    Gaffe sui gay, Barilla corre ai ripari: impegno per la diversità
    La svolta dell'azienda dopo l'incontro con le associazioni Lgbt

    Dopo la gaffe sui gay la Barilla corre ai ripari: al via nuove iniziative su diversità e inclusione. Un mese fa lo scivolone in una trasmissione radio di Guido Barilla il quale aveva detto: "Non farei mai uno spot con una famiglia omosessuale". Parole seguite da scuse e polemiche. Ora l'annuncio dell'impegno per le diversità.

    Dopo l'incontro presso l'ufficio di Franco Grillini alla Regione Emilia Romagna alla presenza del presidente dell'azienda Guido Barilla e del responsabile della comunicazione Luca Virginio con alcune associazioni nazionali Lgbt, la Barilla ha annunciato una serie di iniziative di carattere inclusivo a proposito di diversità dando vita al Diversity & inclusion board anche sulla scia di quanto era stato richiesto e proposto dai partecipanti all'incontro stesso. Lo ha reso noto il presidente di Gay net consigliere regionale dell'Emilia-Romagna, Franco Grillini "In molte aziende soprattutto di medie e grandi dimensioni - ha sottolineato in una nota l'ex presidente di Arcy Gay nazionale - esistono già comitati etici per le politiche di responsabilità sociale d'impresa. Mentre, soprattutto all'estero, le esperienze delle politiche sulla "diversità" in azienda sono spesso un fatto consolidato come ci insegna anche Richard Florida che nel suo libro "L'ascesa della classe creativa" propone il diversity index per misurare il grado di integrazione di ogni minoranza nei processi produttivi e nelle realtà locali. Laddove c'è maggiore diversità e integrazione c'è anche maggior benessere e maggiore produttività".

    Grillini ha poi annunciato che il 13 dicembre prossimo si terrà presso la Regione Emilia Romagna "come componente LibDem del gruppo Misto un incontro seminario proprio su questi temi per dar vita ad una campagna nazionale sull'integrazione della diversità lgbt nelle aziende e nei contratti collettivi di lavoro".

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    da IlMondo.it

    Grillini(Gaynet): Barilla costituirà Diversity e inclusion board - La svolta dell'azienda dopo l'incontro con le associazioni Lgbt

    Dopo l'incontro presso l'ufficio di Franco Grillini alla Regione Emilia Romagna alla presenza del presidente della Barilla Guido Barilla e del responsabile della comunicazione Luca Virginio con alcune associazioni nazionali Lgbt, l'azienda ha annunciato una serie di iniziative di carattere inclusivo a proposito di diversità dando vita al Diversity & inclusion board anche sulla scia di quanto era stato richiesto e proposto dai partecipanti all'incontro stesso. Lo rende noto il presidente di Gay net consigliere regionale dell'Emilia-Romagna, Franco Grillini "In molte aziende soprattutto di medie e grandi dimensioni - ha sottolineato in una nota l'ex presidente di Arcy Gay nazionale - esistono già comitati etici per le politiche di responsabilità sociale d'impresa. Mentre, soprattutto all'estero, le esperienze delle politiche sulla "diversità" in azienda sono spesso un fatto consolidato come ci insegna anche Richard Florida che nel suo libro "L'ascesa della classe creativa" propone il diversity index per misurare il grado di integrazione di ogni minoranza nei processi produttivi e nelle realtà locali. Laddove c'è maggiore diversità e integrazione c'è anche maggior benessere e maggiore produttività". Grillini ha poi annunciato che il 13 dicembre prossimo si terrà presso la Regione Emilia Romagna "come componente LibDem del gruppo Misto un incontro seminario proprio su questi temi per dar vita ad una campagna nazionale sull'integrazione della diversità lgbt nelle aziende e nei contratti collettivi di lavoro".

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    da La Gazzetta di Parma

    Diversità e inclusione: Barilla annuncia una serie di iniziative

    Con l’obiettivo di rafforzare il proprio impegno aziendale verso la diversità, il Gruppo Barilla annuncia alcune misure su diversità, inclusione e responsabilità sociale. L’annuncio – dal sito www.barillagroup.it – arriva ad un mese dalle polemiche per le parole di Guido Barilla sui gay ("Non farei mai uno spot con una famiglia omosessuale"), e le successive pubbliche scuse con tanto di incontro con le associazioni Lgbt. In quella occasione il gruppo alimentare si era impegnato "a produrre proposte concrete in tempi certi, che saranno oggetto di un successivo incontro". Che oggi sono arrivate.


    "Diversità, inclusione e uguaglianza sono da tempo parte integrante della cultura, dei valori e del codice etico di Barilla. Questi si riflettono nelle politiche e nei benefit offerti a tutto il personale, indipendentemente da età, disabilità, sesso, razza, religione o orientamento sessuale", ha affermato oggi l’amministratore delegato Claudio Colzani. "Allo stesso tempo il nostro impegno è volto a promuovere la diversità perchè crediamo fermamente che sia la cosa giusta da fare".

    Tra le attività il nuovo 'Diversity & Inclusion Board’, composto da esperti esterni indipendenti che aiuteranno Barilla a stabilire obiettivi e strategie concrete per migliorare lo stato di diversità e uguaglianza tra il personale e nella cultura aziendale in merito a orientamento sessuale, parità tra i sessi, diritti dei disabili e questioni multiculturali e intergenerazionali. Tra le persone che ad oggi hanno accettato di far parte del Board si annoverano David Mixner, importante leader mondiale della comunità Lgbt (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender), e Alex Zanardi, medaglia d’oro alle Paraolimpiadi.

    Le iniziative della Barilla prevedono anche la nomina del primo Chief Diversity Officer del Gruppo, Talita Erickson, avvocato di origine brasiliana, attualmente Direttore Affari Legali di Barilla America, e la partecipazione al Corporate Equality Index (Cei) sviluppato dalla US Human Rights Campaign per misurare e valutare le politiche e pratiche delle grandi imprese in merito a dipendenti lesbiche, gay, bisessuali e transgender (Lgbt).

    "Sono lieto che Barilla abbia ricercato guida e consulenza all’esterno su questi temi fondamentali e sono onorato di essere stato coinvolto", ha dichiarato Mixner. "Inoltre, sono rimasto colpito dalla volontà del Presidente e dell’azienda di ascoltare e imparare dai leader della comunità Lgbt e di lavorare per migliorare diversità, inclusione e uguaglianza".

    Nel 2014 Barilla – viene annunciato – lancerà anche un progetto online a livello mondiale finalizzato a coinvolgere le persone sui temi di diversità, inclusione e uguaglianza. I partecipanti saranno invitati a creare brevi video che rappresentino le molteplici sfaccettature della pasta. Le creatività saranno presentate alla comunità web che potrà esprimere il proprio apprezzamento, condividerli e votarli. I video saranno poi valutati da una giuria di esperti e i vincitori saranno premiati.

    Le nuove misure si basano anche sulle raccomandazioni – viene precisato – che l’azienda ha ascoltato nel corso di recenti incontri con personalità in ambito di diritti civili e umani che promuovono l’inclusione e l’uguaglianza in Italia e negli Stati Uniti. "Siamo grati a coloro che hanno trovato il tempo di condividere i loro punti di vista con noi e di conoscere Barilla come azienda. Come impresa socialmente responsabile che serve e rispetta tutti i consumatori, sappiamo di dovere rafforzare il nostro impegno", ha dichiarato Luca Virginio, Direttore per la comunicazione e le relazioni esterne di Barilla. "Il nostro obiettivo è fare sempre meglio, diventando un’azienda globale leader per diversità e inclusione, sia internamente sia esternamente".

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    Ex lesbica nelle trombe dei media, lesbica nel silenzio. Chirlane McCray e Annise Parker

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    Bill de Blasio, che ha appena occupato la poltrona di sindaco di New York, ha una moglie "ex lesbica", Chirlane McCray. Nata nel 1954, di origine giamaicana, Chirlane si è laureata al Wellesley College nel 1972 in comunicazione politica. Poeta e scrittrice, ha pubblicato nel 1979, sulla rivista afroamericana "Essence", il saggio "I am a lesbian"; e lo è stata (ufficialmente) fino al 1991, quando ha incontrato Bill de Blasio e l'ha sposato avendone due figli, Chiara e Dante.
    Adesso, con il suo ruolo di "first lady ex lesbica", ha oscurato mediaticamente l'elezione di una lesbica sempre più attuale: Annise Parker, che ha ottenuto il terzo mandato come sindaca di Houston con il 52,8% dei voti, sbaragliando otto sfidanti. Nata il 17 maggio 1956, Annise ha una compagna, Kathy Hubbard, con la quale ha adottato due bambine e un bambino. I cittadini di Houston l'hanno eletta per la prima volta nel 2009, e la rieleggerebbero ancora, secondo un sondaggio,se la legge americana prevedesse un quarto mandato.

    Appello a boicottare "La vie d'Adèle". Lesbiche politiche in movimento

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    http://mfla.noblogs.org/post/2013/11/06/megafonix-100-rumori-di-lesbiche-politiche/#more-6125Megafonix – 100% rumori di lesbiche politich


    Ascolta la puntata di Megafonix, la trasmissione musicale geopoliticale, di questa settimana: 100% rumori di lesbiche politiche [dura 1h]:
    Cineffable: festival di film lesbico Paris
    - “Outsister” e “Shoutsiter”: la rivista finalmente uscita!
    - Appello a boiccottare “La vita di Adele” di Abdel Kechiche (qui di seguito)

    La vita di Adele: il disprezzo!

    Questo film opportunista, visto dalla critica come sovversivo, è solo disprezzo.
    . Disprezzo per tutte le lesbiche e NOI REAGIAMO
    . Disprezzo verso l’autrice del fumetto da cui è stata tratta la sceneggiatura e LEI DENUNCIA
    . Disprezzo verso i/le tecnici/che durante le riprese e LORO MANIFESTANO
    Girare un film sulle le lesbiche, un gruppo sociale appresso in questa società, significa sempre prendere posizione per o contro questo gruppo. Non esiste un’arte neutra.
    Non esiste neanche l’amore universale, in una società gestita dal patriarcato e da un sistema di costrizione all’eterosessualità.
    La compiacenza pornografica, il voyeurismo, i cliché e gli stereotipi non hanno niente di sovversivo: sono già una norma accettata da tutti, quella che ci fa violenza quotidianamente. Perché questa storia d’amore non è stata filmata tra i granchi? Ci avrebbe risparmiato tutto questo.
    Numerosi film fatti da donne e da lesbiche non hanno la palma d’oro!
    Brillano dalla loro qualità e si trovano nei festival interessanti, andiamo a vederli lì.
    Le nostre vite, le nostre storie, le nostre amore, la nostre immagine, le nostre lotte ci
    appartengono!
    BOICOTTIAMO LA VITA DI ADELE
    DENUNCIAMO QUESTO FILM
    Dalla lettera aperta dell’assemblea generale di femministe e lesbiche contro l’impunità delle violenze maschile a proposito della strumentalizzazione delle nostre lotte e il furto delle immagini durante una manifestazione l’8 marzo 2012:
    “… non siamo degli oggetti né di studi né di documentazione e non eravamo lì per essere delle figuranti”.
    Le diverse interviste delle attrici in cui affermano con veemenza che non sono lesbiche e in cui tengono discorsi lesbofobici.

    Lettera aperta di Julie Maroh, autrice del fumetto “il blu è un colore caldo”.
    Articolo sulle azioni dei tecnici/techniche a Cannes
    I festival di film di lesbiche o di donne in Francia:
    www.cineffable.fr
    resistancesdefemmes.wordpress.com 
    www.filmsdefemmes.com

    "Contronatura?", 9 novembre 13, Verona. Il programma definitivo

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    Circolo Pink GLBTE Verona, Arcigay Pianeta Urano Verona, Milk center Verona, Gruppo Lieviti – Bisessuali, pansessuali e queer,
    Arcilesbica Verona, Sportello Migranti LGBT Verona

    Sabato 9 novembre 2013 ore 15-19 presso la Sala Convegni del Palazzo della Gran Guardia - Piazza Bra Verona


    Vi invitano al Convegno:

    “Contronatura?”. Lesbiche, gay, bisessuali, asessuali, trans*,
    intersex/dsd si interrogano sul loro posto nel creato”

    Dopo il convegno festa/cena al Pink di Verona "Naturalis Splendor" dalle 20.00 in poi.

    Una visione del mondo, delle soggettività e delle relazioni sostanzialmente “altra”, in cui al centro della riflessione non ci sia solo il maschio bianco eterosessuale e i suoi contorni, la “misura” su cui in Occidente si sono costruiti i concetti di “natura” e “cultura”, di “normalità” e “anormalità”, di “bene” e “male”, così cari a conservatori, integralisti, fascisti e neonazisti di varia origine e forma. Ma anche il paradosso medico-scientifico che viviamo oggi, da una parte il continuo ampliarsi delle conoscenze sulle diversità e complessità biologiche (e non solo) dell’essere umano e, dall’altra, l’attuarsi di una volontà tanto accanita quanto insensata di livellare, negare e/o eliminare queste diversità.

    Sono questi, in sintesi, i temi che verranno affrontati e discussi, anche con interventi dal pubblico, nel convegno organizzato dalle associazioni lgbtqi veronesi, che si terrà sabato 9 novembre p.v. al palazzo della Gran Guardia. Titolo “Contronatura?”, e sottotitolo “Lesbiche, gay, bisessuali, asessuali, trans*, intersex/dsd si interrogano sul loro posto nel creato” beffardamente ironici, per rispondere al serioso (e scandaloso) convegno sul “gender”, organizzato il 21 settembre u.s. da associazioni in odor di integralismo cattolico, ma contenuti pregnanti e relatori autorevoli non solo per i titoli accademici ma per l’impegno profuso nelle pratiche politiche attive all’interno del movimento lgbtqi e, più in generale, nei movimenti antagonisti.

    Introdotto da Lorenzo Bernini, docente di Filosofia politica all’università cittadina e coordinatore del centro di ricerca Politesse – Politiche e teorie della sessualità, che, analizzando alcuni usi dei concetti di “male” e di “natura” nella politica della sessualità, arriverà sino ai nostri (tristi) giorni e alla controversa discussione della legge sull’omo/transfobia, il convegno rispetta la promessa del titolo, interrogandosi su tutte le diversità.  

    Diversità che sono persone, quelle nate con variazioni biologiche, patologizzate e costrette a subire interventi chirurgici “normalizzatori”, di cui parleranno la sociologa Michela Balocchi e Alessandro Comeni, educatore e formatore nonché uno dei pochi attivisti intersex del nostro Paese. I due relatori, che sono tra i fondatori del collettivo “Intersexioni”, hanno realizzato insieme il primo punto d’ascolto intersex in Italia, attivo presso il consultorio Transgenere di Torre del Lago.
    Oppure persone che nel corso della vita capiscono di essere imprigionate in un corpo che vorrebbero diverso, anch’esse medicalizzate, sottoposte a iter pesantissimi o costrette a restare nel “limbo” del transgenderismo, spesso vittime di soprusi e violenze, che saranno l’oggetto/soggetto dell’intervento di Christian Ballarin, formatore per il Comune di Torino e per l’ONIG (Osservatorio nazionale sull’identità di genere), responsabile di SpoT, lo sportello per le persone transessuali del circolo glbtq Maurice di Torino.

    Infine quelle che amano in modo “diverso”, cioè non sono eterosessuali, ossia “normali” e (non sempre, in realtà) normati, la comunità queer, i gay, le lesbiche, i/le bisessuali, affidati/e all’analisi e alle parole di Renato Busarello, bolognese, del Laboratorio Smaschieramenti, attivista storico del movimento lgbtq, e di Paola Guazzo, saggista e scrittrice, che, partendo da vari input di teoriche lesbiche, suggerirà alcune possibili risposte politiche e culturali che vadano a minare il pensiero conservatore diffuso, a volte, anche in/da coloro che portano avanti pratiche politiche di movimento.

    PROGRAMMA CONVEGNO:
    15.00-15.30: Lorenzo Bernini
    (docente di Filosofia politica - Centro di ricerca Politesse - Università di Verona):
    Contro natura a chi? Alcune riflessioni sul male in politica.

    15.30-15.50: Michela Balocchi
    (docente di Sociologia presso l'Azienda Ospedaliera Universitaria di Careggi - Centro di ricerca Politesse - Università di Verona; Intersexioni) e
    Alessandro Comeni (Educatore e formatore; Intersexioni):
    Binarismo di sesso/genere e patologizzazione dei corpi intersex.

    15.50-16.10: Christian Ballarin
    (presidente del circolo Maurice glbtq – Torino; formatore per il Comune di Torino e l’ONIG; Coordinamento Trans Sylvia Rivera):
    Transessualità: viaggio ai confini del genere. 

    16.10-16.30: Paola Guazzo
    (scrittrice e saggista):
    Lesbiche che fanno saltare il banco: Kitzinger, Wittig, Causse. Alcuni strumenti politici per il presente.

    16.30-16.50: Renato Busarello
    (Laboratorio Smaschieramenti Bologna):
    Denaturalizzare il maschile universale: dall'Uomo alle mascolinità controegemoniche gay, trans, butch, eterodissidenti.

    17.20-17.40: Pausa  -  17.40-19.00: contributi e dibattito

    Chantal Akerman, ovvero: esiste un cinema "d'autrice" lesbofemminista

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    di Rosanna Fiocchetto 


    La regista belga Chantal Akerman è nata il 6 giugno 1950 a Bruxelles, da
    genitori ebrei polacchi sopravvissuti ad Auschwitz. Decise di fare cinema
    sin da adolescente, influenzata dai prodotti della Nouvelle Vague francese,
    e nel 1967 si iscrisse alla scuola belga INSAS (Institut National Supéerieur
    des Arts du Spectacle), frequentando poi l' Université Internationale du
    Théâtre a Parigi. Lavorando come cameriera, autofinanziò il suo primo
    cortometraggio, "Saute ma ville" (1968), che circolò nei festival attirando
    l'attenzione della critica. Nel 1972 si trasferì a New York, realizzando
    cortometraggi sperimentali, fra cui "Hotel Monterey" (1972),  prendendo
    contatto con gli esponenti del "New American Cinema", e cominciando la sua
    collaborazione con Babette Mangolte. Tornata in Europa (ma da allora si
    dividerà tra New York, Bruxelles e Parigi), nel 1974 diresse il suo primo
    lungometraggio, "Je tu il elle". Nel 1975 presentò al festival di Cannes
    "Jeanne Dielman, 23, Quai du Commerce 1080
    Bruxelles", ritratto di una "casalinga disperata" occasionalmente dedita
    alla prostituzione, seguito da "News from Home" (1977) e nel 1978 da "Les
    Rendez-Vous d'Anna".
    Akerman, con queste opere e le relative sceneggiature, è diventata dalla
    metà degli anni Settanta una protagonista d'avanguardia del nuovo cinema
    lesbofemminista. Il suo campo espressivo è la sperimentazione iperrealista;
    i suoi messaggi e le sue storie, prevalentemente incentrati sulle donne,
    spesso lesbiche, scelgono un linguaggio di tempi reali che incorpora anche i
    silenzi come strumento di espressione e rivelazione dei personaggi.
    Nel corso delle sue opere successive ("Aujourd'hui, dis-moi, dis-moi", 1980;
    "Toute une nuit", 1982; "Hotel des Acacias", 1982; "Un jour Pina m'a
    demandé" (1983), sulla coreografa Pina Bausch; "Les Années 80", 1983;
    "L'homme à la valise", 1983; "J'ai faim, j'ai froid",1984; "New York, New
    York bis", 1984; "Family Business", 1984; "Letters home", 1986; "Rue
    Mallet-Stevens", 1986; "Le marteau", 1986; "Portrait d'une paresseuse",
    1986; "Window Shopping", ("Golden Eighties",1986); "Histoires d'Amérique:
    Food, Family and Philosophy", 1988; "Trois strophes sur le nom de Sacher",
    1989; "Les Trois Dernières Sonates de Franz Schubert", 1990; "Contre
    l'oubli: Pour Febe Elisabeth Velasquez", 1991; "Nuit et Jour", 1991; "Le
    Déménagement", TV, 1992; "Portrait d'une jeune fille de la fin des années
    80", 1993; "D'Est", 1993, un viaggio dalla fine dell'estate al cuore
    dell'inverno, dalla Germania Est a Mosca, attraverso la Polonia e i Balcani;
    "Portrait d'une jeune fille de la fin des années 80", 1993; "Portait d'une
    jeune fille de la fin des années 60 à Bruxelles", TV, 1994; "A Couch in New
    York" ("Un divano a New York",1996, con William Hurt e Juliette Binoche);
    "Sud", 1998, anatomia di un brutale omicidio nel Texas; "La Captive", 2000;
    "De l'autre coté", 2001, sulla disperata immigrazione clandestina attraverso
    i deserti dell'Arizona; "Avec Sonia Wieder-Atherton", TV, 2003; "Demain on
    déménage", 2004; "Là-bas", 2006, "State of the World", 2007; "Women fron
    Antwerp in November", 2008; "A l'Est avec Sonia Wieder-Atherton", TV, 2009),
    il suo stile si è arricchito di sempre nuove suggestioni, mantenendo però
    constantemente uno sguardo ed una personalità rigorosi e intensamente
    originali.
    Per conoscerla criticamente, sono preziosi soprattutto i suoi film
    autobiografici "Lettre d'une cinéaste: Chantal Ackerman" (1984) e "Chantal
    Akerman par Chantal Akerman" (1996), da affiancare ai saggi che le hanno
    dedicato, tra gli altri, Ivone Margulies ("Nothing Happens: Chantal
    Akerman's Hyperrealist Everyday", 1996), Gwendolyn Audrey Foster ("Identity
    and Memory: The Films of Chantal Akerman") e Terrie Sultan ("Chantal
    Akerman: Moving Through Time and Space", 2008).

    Rosanna Fiocchetto


    Lina Mangiacapre, regista femminista, restrospettiva a Roma

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    Domenica 24 novembre, al cinema Trevi di Roma, verrà proiettata una rassegna dell'opera di Lina Mangiacapre:

    La sottile linea rosa 3. L’altro sguardo. Il cinema di Lina Mangiacapre
    Lina Mangiacapre è stata scrittrice, pittrice e regista sia teatrale che cinematografica. Artista e militante femminista, ha svolto con passione il ruolo di instancabile animatrice culturale, impegnata a valorizzare e far emergere la creatività delle donne: nel 1970 ha fondato il collettivo femminista napoletano Le Nemesiache, dal 1976 la Rassegna di Cinema delle Donne agli Incontri di Sorrento e nel 1987 il premio “Elvira Notari” alla Mostra del Cinema di Venezia. «Ritornare al pensiero mitico, […] riporta la memoria e lo scandalo della differenza, la coscienza e la scissione dalla natura e dal cosmo. L’origine del pensiero filosofico è coscienza tragica della differenza, il mito è quindi il retaggio di un pensiero diverso» (Mangiacapre, Cinema al femminile 2).
    Programma a cura di Maria Coletti e Annamaria Licciardello

    ore 17.00
    Donna di cuori di Luciano Crovato, Lina Mangiacapre (1994, 85’)
    Una coppia alto borghese torna nella casa dove aveva vissuto molti anni prima nella speranza di ricostruire un rapporto ormai spento. L’arrivo di un giovane sembra capace di innescare un gioco a tre dagli esiti imprevisti.

    ore 19.00
    Didone non è morta di Lina Mangiacapre (1987, 98’)
    «Napoli e i Campi Flegrei diventano lo scenario in cui Didone, la fondatrice di Cartagine, ritorna alla vita per rincontrare ancora una volta il suo grande amore, Enea, e perderlo insieme al suo sogno dell’unità di una civiltà mediterranea». (Mangiacapre).

    ore 21.00
    Faust Fausta di Lina Mangiacapre (1991, 96’)
    Tratto dal romanzo omonimo della stessa autrice, che ha anche composto le musiche originali del film. «La mia storia dimostra che mai come oggi Faust è presente. La vicenda ruota intorno all’idea che la vita ha sempre le sue carte da giocare: cambiare sesso, cambiare destino » (Mangiacapre).

    La vie d'Adèle. Articolo di Manhola Dargis, critica cinematografica del "New York Times"

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    Vedendoti, vedendomi
    Il problema de La vie d'Adèle
    di Manhola Dargis
    traduzione di Manuela Menolascina
    versione originale qui:

    E' stato il suo didietro ad attrarre subito la mia attenzione. In particolare è stato il modo in cui la telecamera catturava il lato b della teenager ne “La vie d'Adèle”che spiccava su tutto il resto. Indubbiamente è un bel culetto, tondo, compatto e sodo. E ho capito subito che effetto potesse fare sia serrato in jeans attillati che esibito en plein air, come quando Adèle , che ha appena 15 anni all'inizio del film, giace stravaccata, a faccia in giù sul cuscino come fanno i bambini. Il regista Kechiche - me ne sono accorta quasi subito- ama i culi stretti.
    Badate, ho pensato lo stesso di Mike Nichols, data la sua ossessione maniacale per il sedere di Natalie Portman in Closer (2004). Ho annotato questa osservazione sul mio taccuino come avevo fatto per la preferenza spiccata di Hitchcock per le bionde e il feticismo dei piedi in Quentin Tarantino. Generalmente questo tipo di informazioni non condizionano le mie opinioni sui registi, anche se può essere destabilizzante sentire Tippi Harden parlare di Hitchcock come un predatore sessuale. 
    In realtà se dovessi sentirmi offesa da ogni regista predatore non sarei una critica cinematografica. Quindi mi limito a guardare, ad amare film che non necessariamente amano le donne. E' davvero rilevante che il signor Kechiche abbia una passione per i sederi? Dopo tutto Mr Kechiche ha reso il culo arte consacrata dal festival di Cannes lo scorso maggio. Inaspettatamente, la giuria presieduta da Steven Spielberg ha assegnato la palma d'oro a Kechiche e alle sue star, Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos. Il passo eccezionale -ha detto Spielberg mentre annunciava il vincitore- è stato mosso per premiare il talento di tre artisti. Affermando che le attrici fossero co-creatrici del film la giuria ha riconosciuto che un film è fatto anche da coloro che lo performano, un'idea che fa a pezzi l'autorialità, una delle strategie interpretative privilegiate dai critici.
    La vie d'Adèle, appena arrivato in sala negli Stati Uniti, descrive l'iniziazione sessuale di Adèle, una francesina provinciale ma voluttuosa. E' una teenager dai forti appetiti- custodisce le caramelle sotto il letto -la cui fame ha un'entità visceralmente carnale ed evoca un parallelismo tra appetito letterale e sessuale che probabilmente esiste da quando Eva ha morso la controversa mela. Adele si riempie la bocca di cibo perfino quando resta insoddisfatta dal suo fidanzatino del liceo. Si sazia soltanto quando si innamora di Emma, l'artista dai capelli blu con la quale crea un legame tanto profondo e psicologico quanto sessualmente piacevole. Si innamorano, vanno a convivere e poi si separano.
    Ho visto la Vie d'Adèle per la prima volta a Cannes, e subito dopo ho scritto 399 parole di dissenso sul film e ho posto le questioni che mi aveva suscitato. Ho scritto che Kechiche è stato un regista indulgente con se stesso (il film dura ben 3 ore) e ho citato una scena in cui un uomo parla di arte ed orgasmi femminili. In prima battuta ho messo in discussione la rappresentazione di Kechiche del corpo femminile. Mantenendosi così vicino ad Adèle sembra voler veicolare l'esperienza soggettiva di quest'ultima ronzandole attorno con la telecamera e attraverso i frequenti primi piani sul suo volto di ragazza. Tuttavia, all'inizio, questo senso di interiorità si dissolve a causa del continuo indulgere della telecamera intorno al personaggio, persino quando dorme. Mi sono chiesta : ma Adèle sogna il suo stesso corpo sexy?
    Le mie osservazioni non sono state ben accolte, cosa poco sorprendente dato che ho criticato un film che è piaciuto ad altri, e mi sono interrogata sul piacere e sul fatto che il desiderio del regista fosse più evidente di quello dei suoi personaggi. Qualche critico ha stabilito che mi stessi lamentando della pornografia , il che è ridicolo, poiché - pur servendosi di alcune convenzioni del genere - il sesso è stato reso una pantomima. A giugno Owen Gleiberman, dell' "Entertainment Weekly", ha scritto un lungo post su un blog criticando i miei commenti sul film e quelli di Julie Maroh, l'autrice del fumetto che lo ha ispirato. A quel punto l'autrice ha fatto un passo indietro e ha definito l'adattamento di Kechiche “coerente, giustificato e fluido”.
    Ma ha anche espresso insoddisfazione rispetto alle scene di sesso tra Adèle e Emma “Ciò che mi è sembrato mancare sul set sono le vere lesbiche”. Il signor Gleiberman ha interpretato ciò come la volontà dell'autrice di dire che i ruoli avrebbero dovuto essere assegnati a delle vere lesbiche, anche se non è questo che intendeva. Aveva invece scritto: “ Fatta eccezione per alcuni momenti sporadici, tutto ciò che il film evoca è uno spettacolo chirurgico, esuberante e freddo di cosiddetto sesso lesbico che si trasforma in porno e mi fa sentire a disagio”.
    La Maroh ha visto un legame tra il modo in cui Kechiche ha girato le scene e un'altra scena in cui i personaggi parlano di quello che lei definisce “il mito dell'orgasmo femminile”come “ mistico e infinitamente superiore a quello maschile”. Ha aggiunto: “ Eccoci qua, nuovamente intenti a sacralizzare la femminilità in questi termini. Lo trovo molto pericoloso.” Ha allertato il pubblico sulla visione essenzialista della sessualità femminile secondo la quale le donne con i loro orgasmi sacri incarnano un mistero innato ed eterno. Simone de Beauvoir ne Il secondo sesso asserisce che questa idea dell' “eterno femminile” non rispecchia l'esistenza multipla delle donne.
    La descrizione di Maroh delle scene di sesso, che giudica allo stesso tempo pornografiche e foriere di una sacralità femminile, può sembrare contraddittoria se si trascura il fatto che sia il pornografico che il sacro trattano le donne come astrazioni e non come individui in carne ed ossa. La pornografia consiste in sesso reale e ha fortunatamente un obiettivo chiaro: fare eccitare gli spettatori. La vie d' Adèleè solo un esempio formalmente standard di cinema europeo caratterizzato dalle solite ambizioni, arte e piacere compresi. Eppure riesco a capire perché qualcuno lo trovi pornografico se penso alle convenzioni visive adottate da Kechiche, come ad esempio i primi piani che affermano che -come ha detto la giornalista Lisa Katzman a proposito della pornografia -“la drammaticità del piacere della donna non è scritta sui genitali ma sul suo viso”.

    Dall'inizio Kechiche ci colloca spazialmente vicino ad Adèle , una prossimità che penso abbia la funzione, per dirla con George Eliot, di creare “l'estensione delle nostre simpatie”. Tuttavia, se le mie simpatie non si sono estese è in parte dovuto all'uso di Kechiche di un'estetica selettiva che vede Adèle risucchiare il cibo ( “Sei vorace” dice Emma) ma che soprattutto non le concede altrettanto appetito a letto, momento in cui il realismo minuziosamente costruito del film viene messo da parte, come del resto le eccedenze e le escrezioni corporee, in favore di pose decorose e composte. E' questo che Maroh probabilmente intendeva esprimere quando ha detto che nelle scene di sesso mancavano le lesbiche;
    io mi spingerei oltre e affermerei che non vi erano donne di alcun tipo. La fame di Adèle è contenuta, abbellita, estetizzata.

    ( fine traduzione prima parte; prossimamente il resto)

    Intervento lesbico al convegno "Contronatura? Lesbiche gay bisessuali asessuali trans intersex dsd s'interrogano sul proprio posto del creato" - Verona 9-11-13

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    • Lesbiche che fanno saltare il banco: Kitzinger, Wittig, Causse. Alcuni strumenti politici per il presente.
      di Paola Guazzo


      Desidero in questa sede attenermi alla lettera. Senza considerare, apparentemente, quella che mi sembra l'ironia manifesta del titolo del convegno. 
      Contronatura? Lesbiche gay bisessuali asessuali trans intersex dsd s'interrogano sul proprio posto del creato.
      Da qui voglio far partire la mia analisi. Suppongo, scrivendo questo paper, che la nozione di “natura” sia già stata abbondantemente decostruita dai miei eroici colleghi e carpita al campo dei tosiani, dei teocon e dei fascisti su Marte che popolano le retrovie della marcescente cultura di genere italiana. Desidero quindi interrogarmi del secondo focus del nostro convegno: il creato e il posto per noi in esso.
      Ciò che è stato creato, la terra, i viventi, implica alla base un atto di creazione. Il concetto teologico corrente di creazione, fra l'altro molto dibattuto nei secoli anche all'interno del pensiero cristiano, vuole che il creato sia stato generato dal caos, con un atto di parola di Dio. La Genesi si apre così: “In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era un caos senza forma e vuota; le tenebre ricoprivano l'abisso e sulle acque aleggiava lo spirito di Dio. Iddio disse “sia la luce”, e la luce fu ”
      Forse a qualcuno di voi suonerà strano ma l'atto di “creazione” non è il fondamento di tutte le religioni: lo è solo per l'ambito ebraico-cristiano. La corrente greca, che pure è alla base del pensiero occidentale, ne fu immune. Il confine fra creatore e creato non ci fu. Ci furono physis (natura) e capacità umana di agire in essa (praxis), ma non ci fu un momento pre-esistente in cui un Dio con il suo Verbo forgiasse l'informe. Scrive Eraclito: “Questo cosmo, che è di fronte a noi e che è lo stesso per tutti, non lo fece nessuno degli dèi né degli uomini, ma fu sempre, ed è, sarà fuoco sempre vivente, che divampa secondo misure e si spegne secondo misure”. E' evidente quindi che l'interpretazione biblica pone una dissimmetria creazionale e relazionale molto forte. Da questa sembra sottrarsi solo Cristo che è, secondo il Credo: “Generato non creato della stessa sostanza del padre” . L'unico immune da un creato passivo, mero oggetto nelle mani di Dio sembra il Messia. 
      Un Cristo generato e non creato che proviene direttamente dal padre, che non ha alcun rapporto con il femminile e con il neutro pure evangelicamente evocati nella figura di Maria e dell'Angelo? Generato per partenogenesi dal divino? Senza stacco fra creatore e creatura? Pura ripetizione della legge del padre? Domande su cui si sono dibattuti per secoli gli stessi cristiani. E alle quali ha cercato di dare una risposta femminista e lesbica, rivalutando la dimensione mariana in senso trasgressivo, una teologa come Mary Daly, prima di essere cacciata dal college gesuita americano dove aveva insegnato per molti anni.
      Riprendo ancora le parole della Genesi:“Poi Iddio disse “facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza; domini sopra i pesci del mare e su gli uccelli ...” . L'”uomo” è quindi, anche nella concezione veterotestamentaria, un Dio in piccolo, un sub-Dio, che - se non crea - può e deve, però, dominare ordini creaturali inferiori. Appare evidente che la concezione creazionistica trova il suo fondamento non in un'essenza univocamente riconosciuta, ma in un insieme di strategie che creano – non con atto divino bensì umano, troppo umano, parafrasando Nietzsche – un ordine di potere. Ordine creato dal nulla con atto di creazione ( o di forza) nel quale siano ben definiti, appunto, i posti. I posti per chi si allinea con una legge non eterna, ma definita di volta in volta dalla necessità di asservimento, e per chi sta fuori dal confine arbitrariamente tracciato in nome di Dio o di un credo strategico.
      Passo al secondo termine della questione. Il posto per noi. Quale il posto per noi in un mondo che il solo definire “creato” definisce cristiano? Il mondo dei fascisti non serve aver letto fantascienza o i testi di Agamben sui Lager per immaginarlo, basta aver letto qualche discorso di Himmler sullo stato modello SS della Borgogna o aver studiato un minimo la storia delle pratiche naziste. Saremmo confinati, se va bene, in apposite riserve. Se non sterminati, negati. E non so quale sia l'ipotesi peggiore. Le lesbiche bionde e convertibili sarebbero affiliate a un Lebensborn (centro di generazione ariana, vale a dire di accoppiamento forzato con SS), le altre destinate a bordelli per razze inferiori. La natura sulla quale tanto ora sproloquiano sarebbe interessante solo in senso biopolitico, come astratto riferimento “morale” per controllare i comportamenti dei cittadini; l'ambiente, per contro, sarebbe mera creatura nelle mani di un Dio tecnocratico che ama centrali nucleari e guerre, ecc. E ovviamente la natura non sarebbe solo etero, sarebbe bianca.
      Il mondo dei teocon sarebbe più o meno come adesso, lievemente peggiorato, con un ritorno agli anni 50: nessun diritto civile, in compenso molte terapie di rieducazione cruenta come nella serie tv American horror story. Donne in cucina, in chiesa, lesbiche occulte, gay massacrati se solo osano andare a incontrarsi fuori dall'hortus conclusus domestico, messa alla domenica per tutti, ius corrigendi di marito a moglie come fino al 58. Se si fa altrimenti si scivola nella misera asocialità, di cui nessuno avrebbe minima cristiana pietà. E infine confessioni, inquisizioni, perdoni ( finti) solo a chi si adegua. A queste persone bisognerebbe ricordare il messaggio evangelico, della stessa figura che adorano; Cristo infatti, come fa notare Michel Serres, risulta aver detto “amatevi gli uni con gli altri” e non “amatevi gli uni con gli uni”.
      Rallegriamoci, però, anche se fino a un certo punto: il nostro posto nel creato non sarà questo.
      Nuove tendenze si stanno sviluppando ed è con queste, non con convegni marginali e vetusti, che dovremo confrontarci. Non sono così pessime, non così esplicitamente; giocano sul confine fra assimilazione e negazione, ma non è detto che il creato non ne abbia traumi. Altre sparizioni delle nostre soggettività saranno possibili, se non ci muoviamo dalla contrattazione al ribasso, da questa sete di riconoscimento a tutti i costi che ci fa a volte perdere la misura reale della nostra sfida politica e culturale, che non è quella dell'omologazione a un creato statico e chiuso. L'attenzione al linguaggio di Michèle Causse e di Monique Wittig , due importanti teoriche lesbiche, ci viene in aiuto. Il linguaggio non è mai neutro, rappresenta una partizione, un marker di potere. Assimilare certe definizioni senza metterle in discussione è già essere succubi. È già, spiace dirlo, essere perdenti senza aver nemmeno cominciato a combattere.
      Un esempio sotto gli occhi di tutti. Parliamo della parola “omofobia”. Il termine omofobia descrive senz'altro uno stato di cose con il quale ci confrontiamo tristemente ogni giorno ed è giusto chiedere una legge non ambigua contro questo stato di cose. Tuttavia la parola "omofobia" come ha fatto notare Celia Kitzinger, non è assolutamente paragonabile alle "fobie" irrazionali, tipo la paura dei ragni o quella dei piccoli spazi chiusi. Dire che in un certo senso “naturalizza” un atteggiamento che è innanzitutto culturale non è azzardato. Celia ha sottolineato che il ricorso ad una parola inventata (non a caso) da uno psicanalista maschio (George Weinberg, 1973) spiega "la nostra oppressione in termini di patologia individuale, invece di fare luce sul potere strutturale e istituzionale" e ci spinge a rinunciare alla denuncia dell'oppressione sistematica dei sistemi eteropatriarcali. Scrive Rosanna Fiocchetto: "Ci è molto chiara la connessione tra sessismo e stupro; dovrebbe esserlo altrettanto quella tra eterosessismo e aggressioni violente (in una gamma che va dalle molestie allo sterminio). L'uso di una parola onnicomprensiva e insieme mitigante come "omofobia", ormai purtroppo diventato una convenzione, ci fa scambiare l'effetto per la causa. Motivare l'odio e la violenza con la paura, invece che con un atto di affermazione ed esercizio del "potere su", ci distoglie anche da una motivazione fondamentale come la conquista violenta o mediata del privilegio. Nel razzismo è più chiaro e pochi si sognerebbero di parlare di "etnofobia": c'è una storia di colonizzazione, depredazione, riduzione in schiavitù, linciaggi, con innegabili motivazioni economiche e di sfruttamento molto visibili e acclarate, che rende piuttosto ridicolo giustificarlo solo con la psicologia. Ma già nel rapporto tra razzismo e sessismo si cominciano a perdere dei "pezzi" del mosaico: l'oppressione delle donne, come nel caso di quella dei gay e delle lesbiche, è meno percepibile a causa della manipolazione di una cultura maschile dominante che nega e mistifica i suoi metodi di controllo della sessualità, del genere e del corpo.
      Non nego che da parte di alcune persone ci possa essere una componente di paura verso il lesbismo o l'omosessualità, dato che la cultura eterosessista si dedica appunto - e attivamente - ad inculcare questa paura, arrivando fino al terrorismo. Ma questo tipo di paura pregiudiziale si supera abbastanza facilmente con l'esperienza e la conoscenza, è un fantasma trasformabile in realtà positiva. Ben altro è l'atteggiamento di chi si dedica sistematicamente a fare paura, ad individuare capri espiatori e a vessarli per imporre la propria pretesa superiorità materiale e morale, per contribuire ad una costruzione politica dittatoriale o al proprio potere personale. Questa è gente alla quale opporsi e da combattere, senza considerarli dei semplici "fobici", prima che in un modo o nell'altro (ad uno ad uno o in gruppo) ci facciano fuori o ci privino dei più elementari diritti umani. "
      Faccio un altro esempio: la vie d'Adèle, il film che ha vinto quest'anno al festival di Cannes. Un film su due lesbiche che, non a caso, è stato applaudito anche dalla radio vaticana. Esempio come la rappresentazione del lesbismo possa essere sottilmente stigmatizzata in un film ad ampia diffusione che gioca su stereotipi che sono proiezioni del dominio eterosessuale sotto forma di voyeurismo. Sotto le mentite spoglie del “risveglio adolescenziale” - di un fatto quindi paragonabile a un evento “naturale” - tutto sarebbe possibile, anche passare dal sentimentalismo del primo amore a scopate simil-pornografiche in un solo giorno, il tutto incorniciato in ruoli mimetici del più vetero rapporto eterosessuale anni 60. Un inno all'infelicità del rapporto lesbico propagandato come grande cinema. Come scrisse Foucault: «Se si vedono due omosessuali, o meglio due ragazzi che se ne vanno insieme a dormire nello stesso letto, in fondo li si tollera, ma se la mattina dopo si risvegliano col sorriso sulle labbra, si tengono per mano, si abbracciano teneramente, e affermano così la loro felicità, questo non glielo si perdona. Non è la prima mossa verso il piacere ad essere insopportabile, ma il risveglio felice».
      Il posto per noi sarà quello di un'omologazione-impoverimento della libertà e dell'autorappresentazione dei soggetti? La nostra affettività reale, oltre a quella propagandistica delle unioni omoaffettive, troverà spazi per rappresentarsi al di là degli stereotipi eterosessisti? Dipende soprattutto da noi. E dal nostro credo. Espongo qui il mio credo. Che è poi molto sintetico, come il mio posto nel creato. È quello di Monique Wittig che ridefinisce politicamente il soggetto lesbico e rovescia lo stigma eterosessista, facendone “nostra speranza e fonte di salvezza”: - Maschile/femminile , maschio/femmina sono le categorie che servono a dissimulare il fatto che le differenze sociali sono sempre l'esito di un ordine economico, politico ed ideologico. È l'oppressione che crea il sesso e non il contrario (...). Le donne sono la classe oppressa all'interno del contratto sociale eterosessuale. Le lesbiche sono disertrici, sono schiave in fuga. Le lesbiche non sono donne -

    Alessia Ballini e Virginia Woolf a Roma

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    Il Coordinamento Lesbiche Romane
    presenta il libro

    "Virginia Woolf-Ho comprato la mia libertà"
    di
    Alessia Ballini


    Un’analisi quanto mai attuale negli strumenti critici utilizzati e nella capacità di elaborazione della tematica woolfiana, nata dalla passione per l’icona indiscussa della letteratura femminile del Novecento. Un saggio in cui lo studio accademico si salda con la tensione intellettuale di chi vuole capire il mondo e opporsi agli stereotipi. Perché la letteratura era per Alessia Ballini una passione intellettuale nella quale confluiva la riflessione sulla realtà materiale nella quale si trovava a vivere; con spirito libero e fedeltà verso se stessa. L’autrice ha qui saputo trasformare l’impegno di studiosa in un’esperienza culturale e politica viva che traspare in ogni pagina scritta del suo libro
    Il libro è pubblicato dalla Società Editrice Fiorentina nella collana “Genio femminile. Ritratti e istantanee” curata da “Archivio per la Memoria e la scrittura delle donne Alessandra Contini Bonacossi” nata nel 2008 proprio grazie alla spinta e al sostegno di Alessia Ballini nel suo ruolo di Assessore Provinciale.


    Ne parliamo con: Elena Biagini e Giovanna Olivieri
    Venerdì 22 Novembre 2013
    ore 18,30

    Sala Simonetta Tosi
    Casa Internazionale Delle Donne
    Via San Francesco di Sales 1/A

    (S)montare le figurazioni del femminile a Roma

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    Sguardi sulle Differenze - Laboratorio di studi femministi «Anna Rita Simeone»

    presenta il calendario 2013-2014
    http://www.sguardisulledifferenze.org/?page_id=1107

    (S)MONTARE LE FIGURAZIONI DEL FEMMINILE

    venerdì 22 novembre 2013, ore 16.00
    Rileggiamo un classico del pensiero femminista
    discussione di:
    Betty Friedan, La mistica della femminilità, Castelvecchi 2012 (ed.or. 1966)
    modera: Mariagabriella Di Giacomo
    intervengono: Serena Sapegno, Federica Giardini, Sara De Simone

    sabato 18 gennaio 2013, ore 9.30
    La vittima
    discussione di:
    una selezione di saggi sul femminicidio e sulla costruzione della vittima
    modera: Serena Sapegno
    intervengono: Manuela Fraire, Annalisa Perrotta, Claudia Marsulli

    venerdì 14 febbraio 2014, ore 16.00
    La madre
    visione (estratti) e discussione di:
    Una mamma imperfetta, web serie di Ivan Cotroneo
    Tutto parla di te, di Alina Marazzi
    modera: Annalisa Perrotta
    intervengono: Gabriella De Angelis, Ilaria Fraioli, Martina Berini

    venerdì 14 marzo 2014, ore 16.00
    Le immagini delle donne
    discussione di:
    Alessandra Gribaldo e Giovanna Zapperi, Lo schermo del potere.
    Femminismo e regime della visibilità, Ombre Corte 2012
    modera: Sonia Sabelli
    intervengono: Carla Subrizi, Valeria Ribeiro Corossacz, Sara Gvero

    venerdì 4 aprile 2014, ore 16.00
    La costruzione dell’identità
    visione e discussione di:
    Tomboy, regia di Celine Sciamma (Francia, Svizzera 2011)
    modera: Eleonora Carinci
    intervengono: Cristina Comencini, Ottavia Nicolini, Francesca Rinaldi

    venerdì 16 maggio 2014, ore 16.00
    L’autorità
    discussione di:
    Luisa Muraro, Autorità, Rosen
    berg & Sellier 2013
    modera: Luisa De Vita
    intervengono: Fabrizia Giuliani, Laura Talarico, Flavia Rossi


    Il Laboratorio Sguardi sulle Differenze propone alla discussione
    delle/dei partecipanti testi teorici, cinematografici e/o multimediali
    prodotti dalla cultura delle donne e dagli studi femministi. Vengono
    presi in considerazione sia i materiali frutto diretto della pratica
    politica degli anni Settanta, sia i più significativi interventi editi
    nei decenni successivi. Il tutto tenendo conto di tradizioni e
    problematiche relative ad ambiti geo-politici diversi. Le relazioni
    che introducono ogni incontro mettono a confronto gli sguardi di donne
    appartenenti a generazioni diverse. La partecipazione è aperta.

    Il ciclo annuale di incontri proposti dal Laboratorio costituisce un
    modulo di I e II annualità di Laurea magistrale, che fa parte
    dell’offerta didattica della Facoltà di Lettere e Filosofia
    dell’Università di Roma “La Sapienza”.

    Tutti gli incontri, salvo quando diversamente indicato, si terranno
    nell’aula seminario, III piano, Dipartimento di studi europei,
    americani e interculturali, Facoltà di lettere e filosofia, piazzale
    Aldo Moro 5, Roma.

    La fotocopie dei testi fuori commercio saranno disponibili presso il
    centro fotocopie Mirafiori (Facoltà di lettere, piano interrato,
    davanti aula a vetri), dal lunedì al giovedì, dalle 9 alle 13 e dalle
    13.30 alle 17.30, e il venerdì, dalle 9 alle 13 e dalle 13.30 alle
    16.30 (chiedere le dispense del modulo Studi delle donne e di genere
    della professoressa Sapegno, anno accademico 2013/2014, laurea
    magistrale).

    Per informazioni:
    Sguardi sulle Differenze
    Laboratorio di studi femministi «Anna Rita Simeone»
    Università di Roma La Sapienza
    http://www.sguardisulledifferenze.org
    sguardisulledifferenze@gmail.com
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