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Showing article 161 to 180 of 621 in channel 8565366
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  • Title: Guazzington Post
  • Channel Number: 8565366
  • Language: Italian
  • Registered On: March 2, 2013, 2:48 pm
  • Number of Articles: 621
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La vie d'Adèle. Le opinioni di Gelsomina

November 13, 2013, 7:15 am
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 di Gelsomina


Dunque. Sono andata a vederlo. Il film dico. Purtroppo mia madre ha avuto la malaugurata idea di invitarmi a vederlo pensando di fare cosa gradita...Sono ancora sotto shock e spero vivamente che parlarne serva a dileguare almeno in parte il disgusto provato nel guardare La Vita di Adele. Mia madre fortunatamente è uscita dicendo "ti aspetto fuori" alla scena del litigio tra Emma e Adele, mentre Emma dà della puttana ad Adele. Poco dopo, sono uscita anche io, con l'ottima scusa di non poterla fare attendere 40 minuti fuori. 

Questo film è una schifezza, ancora una volta dobbiamo agreere di disagreere  !!

Alcuni commenti viscerali. Le scene di sesso fanno schifo. Non c'è evocazione, sono descrizione semi orgasmica, ma neanche quella. Ne ho approfittato per andare a comprare l'acqua a un certo punto durante una scena di sesso perché avevo la sensazione che se ne avessi guardato ancora un po' non sarei mai più stata viva dall'ombelico in giù in vita mia. Sai quando mangi una volta fish and chips, purtroppo sarà capitato anche a te...e ti dici, che schifo tutto questo fritto, non lo mangerò mai più in vita mia!

Così.

Sono ancora qui che mi chiedo ma cavolo quelle cose le ho mai fatte io? Il sesso così rappresentato è una schifezza perché sembra del tutto immotivato, non c'è rappresentazione del desiderio. Dove me lo metti il desiderio? Chi può desiderare di toccarsi e leccarsi in quel modo senza desiderarsi, ma dai che schifo, nessuno lo farebbe salvo avere gravi disturbi relazionali. Davvero è quasi pornografico, nessuna evocazione emotiva, non smuove assolutamente nulla sotto la superficie. Non un'emozione. Se penso alla Tourneuse de Page, dove c'è solo un bacio, ma in quel bacio tutta la tensione erotica ed emotiva di tutto quello che non viene mostrato. Chiamasi evocazione. Certo, sarebbe bello che in qualche film saffico all'evocazione seguisse anche il mostrare un po' di più di quello che viene dopo, ma cara per descrivere delle scene erotiche in maniera così minuziosa bisogna sapere evocare i sentimenti da cui tali atti scaturiscono. In questo film la rappresentazione della sessualità è davvero solo quella immaginata da un uomo che vuole arraparsi. Si riduce davvero a quello, salvo che a me non fa neanche quell'effetto, anzi mi ha nauseata, davvero tanto. Poi anche le inquadrature sono da maschio, dei corpi, del culo di Adele. Bah che robaccia. Poi veniamo al tentato verismo e al cibo. A parte il fatto che questo regista è ossessionato dagli spaghetti. Vuole essere realista, ma in realtà ottiene solo di essere disgustoso. Le persone che ho visto mangiare così nella vita reale ho desiderato non trovarmele mai più di fronte a me a tavola. Che schifezza. Ma che verismo è? Un verismo molto untuoso. Vuole descrivere l'essere terra a terra e rozzo ma non sa farne neanche un'arte. Anche delle descrizioni realiste si può fare un'arte, lui invece non riesce assolutamente in questo. E' solo rozzo e sembra che abbia abilitati solo i 5 sensi davvero nient'altro. Tutta questa ostentazione della fisicità probabilmente perché quest'idiota non vede altro nella vita, tutto questo mangiare e parlare con la bocca piena, fare sesso e conversazioni insulse, non un dialogo ispirante, mai, nell'arco di tre anni, che per quanto si possa essere sfigat* non è neppure realistico quello. Non c'è poesia, non c'è profondità, non c'è fuoco. Non c'è un briciolo di erotismo, la cosa più disarmante. 

Solo chi sa evocare l'emozione pazzesca che può esserci nel toccarsi anche solo la punta delle dita dovrebbe avere il permesso di descrivere ciò che eventualmente viene dopo. E poi che orrore, il fatto che Adele si incapunisca su una che le ha dato della puttana e l'ha buttata in mezzo alla strada senza nessuna cura, ma che messaggio è mai? Del vero amore? E poi ancora potrei dirti, sembra che Adele sia nata "imparata" sia quando lo fa con i maschi che con le donne. Ma chi lo fa così la prima volta? Ma dai che idiozia, sembra tutto così automatico e meccanico. Anche come lo fa con la sua fidanzata persino la prima volta, non c'è niente dello sconvolgimento, del turbamento, della meraviglia, incanto e stupore o ingenuità adolescenziali. E' sesso adulto oltre che maschile, è un insulto vero e proprio all'amore saffico. Tutte quelle sculacciate neanche fossero mucche o cavalle...così tanto per fare. Chi poi ha 17 anni si rasa sotto e si mette a dare tutte quelle pacche sul culo, ma per favore. Ma come fa a venirle in mente una cosa a una ragazzina, così di sua iniziativa poi, sono tutte e due piccole, non è realistico, e non mi sembra di avere l'età della nonna Abelarda checché tu ne dica, i miei 17 me li ricordo nitidissimi. Tre ore di noia mortale e per fortuna per me sono state solo 2 ore e 10. Bocciatissimo, una vera schifezza. Lost and Delirius è stato rovinato dall'americanità narrativa, ma almeno evocava intensità in tantissimi momenti. Anche tanti pessimi film lesbici, come Loving Annabel, Desert Hearts, Imagine me and you, Kissing Jessica Stein, It's in the water, ecc. ecc. ecc. riescono a evocare un minimo di passione. Questo proprio zero. E tutte le litigate idem, non c'è identificazione, ti viene voglia solo di prenderle a schiaffi, anche quando piange e si smoccola, non provoca nessuna empatia. Hai descritto questa come una storia d'amore. Per me è una storia di niente. L' "amore" è altro, spero. Anche se dopo avere visto questa sbobba viene il dubbio che davvero l'amore non esista e non sia mai esistito. Ti toglie ogni poesia. Credo di non avere mai visto un film lesbico così brutto. Neanche le puttanate americane tipo "But I'm not a cheerleader" mi hanno fatto così schifo perché almeno non avevano la pretesa di vendersi per qualcosa che non sono. Ecco è pretenzioso, stupido e pretenzioso.
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Giovane e bella, Ozon

November 13, 2013, 9:20 am
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 di Paola Guazzo




Ho riflettuto un po', prima di scriverne. Forse perché al cinema mi sono trovata a pensare, mentre scorrevano ripetitivamente le scene e i clienti:“Ecco l'anti-vie d'Adèle”. E mi sono poi, però, messa a ponderare la validità di una contrapposizione di questo tipo: se fosse il caso di fare il gioco film d'autore contro film d'autore, se questo non potesse sembrare una forma di coazione alla legittimazione dell'affettività e della sessualità femminile attraverso la lente – comunque deformante – dell'autorialità dei maitres.
Tuttavia, dopo il grande dibattito su La vie d'Adèle , non sempre di stile esemplare e qualche volta un po' troppo ad personam per i miei gusti (vedi commenti su questo blog, anche), comunque vivace e partecipato al di là di ogni aspettativa, mi sono convinta che anche i prodotti autoriali più noti e diffusi possono diventare strumenti di riflessione lesbica e femminista. Al di là degli intenti dei “maestri”, esiste l'oggetto su cui si esplica la forza – o la debolezza – del soggetto interpretante (noi).  
Ben venga un altro exemplum, un'altra campionatura di mondo femminile, su cui esercitare lo sguardo alla ricerca di altre prospettive, mi sono detta, e mi sono messa a scrivere.
( E inoltre, lo confesso, anche se francamente me ne infischio dei sedicenti maestri e guardo molti film autoprodotti da donne e lesbiche, Ozon mi piace. È ozono. E meriterebbe comunque il titolo di “maestr*” anche solo per il bacio e la pomiciata tra Fanny Ardant e Catherine Deneuve in Otto donne e un mistero ).
Di Giovane e Bella, un film dove l'ozono brucia e stordisce, bisognerebbe parlare con la rude franchezza di una recensione non all'italiana, cioè non generica, diplomatica, estetizzante.
Non illudetevi di vedere olgettine, Rubine, rubacuorine kattivine attaccate ai cellulari e con una rete di parenti-serpenti pariolini pronti a tutto. Sarebbe troppo facile. Tristissimo, ma banale. E non direbbe nulla se non qualcosa di superficiale, di fronte al quale il noto moralismo nazionale potrebbe come al solito dare il meglio di sé.
No. Giovane e Bellaè il Trainspotting della prostituzione giovanile.
Dice bello chiaro che in un mondo dove il corpo è solo un ricettacolo dello sguardo e del pene altrui tanto vale non giocare al ribasso. Non si lascia prendere il proprio corpo senza adeguate contropartite, senza acquisirne un'accumulazione di soldi (mai spesi, solo contemplati di tanto in tanto) e di potere (molto più interessante, per la protagonista del film). 
Ogni altra mossa orientata ad altri sfruttamenti di sé e del corpo è deteriore rispetto all'atto di coscienza che è per Lea la prostituzione; sotto le mentite spoglie di “fidanzatini” che non scopano affatto in modo diverso dai clienti ci sono i markerdell'ingresso nel mondo della “normalità”eterosessuale, che è solo una forma di prostituzione meno cosciente. Qui siamo oltre lajeune fille di Tiqqun, troppo genericamente asessuata, torniamo invece con un nuovo focus su Kate Millett, su Valerie Solanas.
In questo risiede il potenziale rivoluzionario del film: la prostituzione come rottura dello schema serva-padrone dell'eterosessualità obbligatoria.
Certo, la rottura di questo schema non porta ancora a un rovesciamento attivo dei termini del potere, bensì alla “coscienza infelice”: Lea che vagola nel vuoto degli alberghi e delle auto, padroneggiando un gioco che non è, però, mai il suo. Nuda e cruda, con un corpo che non appare mai veramente toccato, pur nella crudezza dei rapporti (girati senza alcun autocompiacimento da “maitr(esse)” da parte del regista, con una ricerca di oggettività non morbosa, rara ).
Altri corpi, altri rapporti, balenano, sembrano a tratti essere possibili, rompono la corrente dell'età, del “corpo bello” e del ruolo. Sono quelli, in momenti diversi, di un cliente anziano e di sua moglie.
E infine si traccia una via luminosa, rivoluzionaria nel riconoscimento fisico fra donne. La mano rugosa di Charlotte Rampling che accarezza il viso di Lea fa saltare il continuum, la ripetizione coatta del prostituirsi. Comincia un tempo altrA. Lea è stata toccata.




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Stasera, radio Onda d'Urto, riflessioni sul convegno di Verona e altr*

November 14, 2013, 2:37 am
≫ Next: Lezioni di Arizona
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Stasera, all'interno della trasmissione "Beate lesbiche" su radio Onda d'Urto, dalle 18.30 alle 19.15, 5 minuti di intervista a me sul convegno di Verona, posizionamenti lesbici, "egemonia" o "dis-egemonia" culturale, con ironia.
Stay tuned
Paola (Guazzo)
http://www.radiondadurto.org/
cliccate, poi andate in alto sulla destra e potete ascoltare in streaming.
Viva la radio!
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Lezioni di Arizona

November 16, 2013, 3:38 am
≫ Next: Manhola Dargis, New York Times, su La vie d'Adèle (seconda parte)
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di Paola Guazzo

Arizona Robbins di Grey's anatomy. Il nome è quello di una portaerei, dato dal padre ufficiale di marina, ma è anche quello della terra elettiva di Monique Wittig dopo l'auto-esilio dalla Francia. Forse Shonda Rhimes, la dea ex machina di Grey's anatomy non lo sa (ma non lo darei per scontato), è comunque bello ricordarlo. Nomina sunt consequentia rerum.
La dottoressa Robbins, nella scorsa serie, ha fatto le cornua alla dottoressa Callie Torres, fidanzata storica, anzi: moglie (hanno una bambina, frutto dell'ex allegra bisessualità di Callie). Io ero fan delle corna televisive, finalmente si rompeva il “Calzona”, accoppiamento dei due nomi che le fan e i fan usavano quando maniacalmente caricavano deliziosi siparietti in biancheria intima rosé o a pois su you tube. Era il nome, non la coppia, ad avermi rotto.
In una notte buia e tempestosa, di black out, una delle tante catastrofi artificiose che Shonda Rhimes ama offrire alle fan e ai fan della serie anatomica più fortunata nella storia della tv, Arizona “cede” alle avances di un'altra chirurga fighetta. Si tratta di un one night standing, nemmeno tutta la notte, ma Callie, causa un improvvido scambio di camici e di segni ( su quello di Arizona è cucito il cavolo-di-anello-matrimoniale, gasp) se ne accorge.
Sottotitolo alla scopata fatto dalle cyber girl non troppo anticonformiste che inseriscono i dialoghi delle puntate appena sono scaricabili su torrent: “ Tu si nu poco zoccola” (non ricordo se in napoletano, ma il succo – gastrico o vaginale?- è quello). Subbuglio su facebook tra le fan “Arizona non lo dovevi fare” , “Sto piangendo finisce un mito”, “Fagliela pagare, Callie, a quella puttana”... Certo, cosa vi aspettavate, vi illudevate che solo perché diverse non siamo anche uguali, tanto per citare Sandro Penna? Così percossa e attonita la terra delle lesbiche simplex al nunzio sta.
E Callie infatti, nonostante un tradimento che forse persino un maschio itagliano avrebbe capito, le dà una bella tranvata al grande amore della sua vita, all'anello cucito sul camice.
E qui le strade si biforcano. Divento fan assoluta della portarei-nave scuola Arizona.
Mentre Callie diventa un crogiolo di faticanti stereotipi, dal “sono centrata su me stessa” al “ho una sessualità caraibica – o salentina? - che prima o poi troverà sbocco adeguato”, Arizona è amareggiata, ma non pentita. Non sta a piangere sul latte versato. C'è molto da imparare da lei.
Si fa catturare dal flirt con una più giovane specializzanda in neurochirurgia, la timida ma determinata Leah; in una sera di memorabile ciucca con una collega teocon che si scopre diversa dall'ideologia le accarezza la faccia e le dice “You're adorable”. Grandi momenti di tv.
Poi cede, le manda sms e ci va a letto. L'altra ha paura, le dice risvegliandosi “ Sono easy peasy”, cioè una che fa sesso senza tanti annessi e connessi sentimentali. E forse non è vero... Comunque tornano a letto, o meglio: sotto la doccia, e c'è un'altra grande scena di lesbian tv: Arizona si toglie l'anello matrimoniale che porta al collo prima di raggiungere l'adorabile easy peasy tra i getti.
Non ho visto ancora gli sviluppi successivi. Magari Shonda Rhimes opterà per un riavvicinamento Calzona in stille Bette e Tina di L word.
Per ora però mi godo l' “imprevisto dei rapporti tra donne” e le Lezioni di Arizona, che non sono “lezioni di piano” nel senso tecnico della sessualità, ma lezioni etiche, di un ethos non moralista, aperto, reale, scritto sui corpi.
Lezioni di Arizona
Niente a che fare con il mondo di plastica e sughi della Vie d'Adèle. Spiace dirlo, una serie americana ha più contenuto di verità.
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Manhola Dargis, New York Times, su La vie d'Adèle (seconda parte)

November 16, 2013, 7:59 am
≫ Next: Violette. Film francese su Violette Leduc (avremo il piacere di vederlo in Italia?)
≪ Previous: Lezioni di Arizona
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di Manhola Dargis
traduzione di Manuela Menolascina
prima parte qui
http://guazzingtonpost.blogspot.it/2013/11/la-vie-dadele-articolo-di-manhola.html

E non è una questione di “sguardo maschile”, nozione della film theory femminista, una locuzione che è stata rigettata dagli ammiratori del film e che io non ho usato di proposito lo scorso maggio. Il film ha problematiche rappresentative per nulla originali, ecco perché ho citato l'utile assioma del critico d'arte John Berger che in Ways of Seeing un suo libro del 1972 afferma “Gli uomini guardano. Le donne si guardano mentre vengono guardate”.Si tratta di una formulazione che può non funzionare con tutti gli uomini e le donne, ma le osservazioni di Berger mantengono una loro rilevanza data la lezione d'arte che un uomo impartisce a delle donne ne La vie d'Adèle.
La lezione si svolge durante una festa organizzata da Emma e Adèle. Adèle è diventata la musa di Emma ;una divisione del lavoro familiare che ci porta in cucina dove Adèle prepara manicaretti. Dopo, nel bel mezzo del party, un uomo inizia a parlare di arte e orgasmi: ”Da quando le donne vengono rappresentate nella pittura,la loro estasi è più visibile di quella maschile che è invece esibita attraverso la donna” dice lui senza alcuna ironia. “Gli uomini tentano disperatamente di rappresentarla”.
Tre donne lo contestano timidamente. Una di loro dice “potrebbe essere solo una fantasia”. Irremovibile lui aggiunge “L'arte prodotta dalle donne non affronta mai il piacere femminile”. Le donne, compresa Emma, una ex studente di belle arti, rimangono in silenzio. Nessuna fa notare che storicamente alle donne era spesso impedito di lavorare con modelli nudi.
Il silenzio delle donne è assordante e, come durante le scene di sesso, invalida il cosiddetto realismo del film.
Non è poi cosi inconcepibile che un uomo, un artista che Emma pensa possa darle una mano nella sua carriera, sproloqui di rappresentazioni e orgasmi femminili in presenza di donne che dicono cosi poco. E' improbabile ma non inimmaginabile.
Le parole dell'uomo e il silenzio delle donne sono scelte estetiche. E fanno parte del significato del film come la cinematografia da “close-up”, l'appetito di Adèle, il suo lavoro con i bambini, l'assenza di uno score e il suo tacito sguardo basso quando un uomo durante lo stesso party le chiede com'è il sesso con Emma e poi se le piacerebbe essere madre. Tutto ciò aggiunge informazioni e meta-osservazioni sul corpo della donna esibito in La vie d'Adèle.
Guardando il film a Cannes non ho potuto fare a meno di pensare al primo film della regista belga Chantal Akerman Je Tu Il Elle, che ha una lunga scena di sesso tra due ragazze. La Akerman, che impersona la protagonista, ha girato la scena in sequenza medio-lunga senza nessuno dei codici visivi usati nella pornografia mainstream. E' raro vedere il piacere femminile espresso in questi termini o finanche una sequenza come quella del torace di Brad Pitt in Thelma & Louise, che mostra ciò che vede Thelma prima di fare l'amore. C'è banalità nel modo in cui molti registi rappresentano il corpo femminile, in parte perché si basano sul manuale industriale di una pornografia orientata verso l'uomo.
In realtà non è il sesso in sé che rende problematico La vie d'Adèle, sono l' ansia patriarcale sul sesso, il desiderio femminile e la maternità che vanno nella direzione maschile, nonché il modo in cui si incornicia, con prossimità scrutatoria, il corpo della donna. Nella logica del film il corpo di Adèle è un mistero che ha bisogno di essere risolto; per un po', sembra che Emma possa aiutarla a risolverlo.
Ne Il secondo sesso Simone de Beauvoir scrive che “l'esperienza erotica è quella che rivela con più potenza agli esseri umani l'ambiguità della loro condizione;i n essa sono consapevoli di loro stessi, carne e anima, come l'altro e come soggetto”. Questo è l'ideale, ma per Adèle l'esperienza erotica porta allo sconforto, alla disperazione, all'isolamento. Il corpo la tradisce, proprio come una donna.
Non è la prima volta che ciò accade ad un personaggio femminile: tuttavia, dato che accade, io - come critica cinematografica - trascorro più tempo a guardare i corpi degli uomini che quelli delle donne. I film mainstream, soprattutto quelli dei grandi studi, sono esasperatamente dominati da storie orchestrate dagli uomini.
Le femministe si sono opposte alle vecchie rappresentazioni hollywoodiane delle donne, ma almeno il suo star system offriva un ricco tessuto su cui lavorare. Uno dei motivi per i quali spesso non si sentono le femministe parlare di film al di fuori dell'accademia e Jezebel.com è che non c'è molto di cui discutere.
Un' ulteriore ragione per cui la Vie d'Adèle è interessante: è un film di tre ore sulle donne, raro oggetto di analisi critica probabilmente soprattutto per maschi americani che lavorano nel campo maschilista della critica cinematografica. La verità è che abbiamo bisogno di più donne sullo schermo, nude o meno, affamate o meno per iniziare davvero questa discussione.

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Violette. Film francese su Violette Leduc (avremo il piacere di vederlo in Italia?)

November 17, 2013, 5:10 am
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di Manuela Menolascina

Violette(2013)
132 min  -  Biography|Drama -  6 November 2013 (France) Director:
Martin Provost Writers: Marc Abdelnour, Martin Provost
Stars: Emmanuelle Devos, Sandrine Kiberlain, Olivier Gourmet

Violette narra la storia della grande ma non popolarissima Violette Leduc, l''autrice di Thèrese et Isabelle( pubblicato nel 1966, ma scritto negli anni Cinquanta),forse il primo testo lesbico europeo che tratta dell'amore tra donne in maniera non stigmatizzante né vittimistica (come invece accade ne Il pozzo della solitudine di Radclyffe Hall del 1928) ma che invece ne svela, con acutezza disarmante, la spontaneità, la vertigine, l'afrore.
Il regista Martin Provost riesce a coinvolgerci profondamente nell'esperienza letteraria, personale ed erotica di Violette Leduc. E lo fa in termini per nulla morbosi, che veicolano magistralmente il senso di alterità, di spaesamento e genialità che aleggiano sul personaggio.
E' uno sguardo straniante, asessuato, quello di Provost; segue con fedeltà e senza alcuna forma di giudizio l'evoluzione di Violette (Emmanuelle Devos ), la bastarda, la reietta per eccellenza, l'affarista del mercato nero durante l'occupazione tedesca, alla ricerca disperata di conferme, amore e considerazione, che non sempre le vengono riconosciuti.
In primo luogo si affronta il rapporto “queer” tra la scrittrice e il suo amico-convivente gay Maurice Sachs, di cui Violette sembra essere platonicamente innamorata. Risulta chiaro da subito che Violette è al di là di certi schemi, non cerca affatto la rassicurazione di una mascolinità dominante e definita, anzi la rifugge con determinazione ( quando un suo “collega”le cinge la vita per rassicurarla dopo una retata della polizia,l ei si ritira con decisione, quasi inorridita).
Ma il vero momento di auto-consapevolezza, di epifania, arriva quando Violette si imbatte per caso ne L'invitée (1943)di Simone de Beauvoir, che narra di un mènage à trois che coinvolge due donne. Allora Violette ha un'illuminazione, legge nel testo una legittimazione ad essere ciò che è, a non nascondere la sua natura. Cerca ossessivamente di entrare in contatto con l'autrice, la segue fino alla sua dimora, le manda mimose, quasi come una stalker. Quando finalmente riesce a parlarle la ringrazia, le dice dell'enorme impatto che L'invitée ha avuto nella sua vita e le consegna un suo manoscritto. Si tratta del manoscritto de L'asphixie (1946), il primo romanzo dei Leduc, di cui de Beauvoir (Sandrine Kiberlain) riconosce immediatamente il grande valore.
Lo sguardo del registra si posa allora, con grande intensità e poesia, sul rapporto tra le due donne: Violette la passionale, l'incontinente emotiva e Simone, l'algida, che tuttavia resta scalfita e turbata-anche eroticamente-dalla devozione che la prima nutre verso di lei. La relazione amicale e professionale procede per alti e bassi, ma le due donne non smettono di cercarsi, di ritrovarsi, di completarsi. Sono indissolubilmente legate dal sacro vincolo della scrittura,veicolo di libertà e di auto-determinazione; i riconoscimenti che le due donne ricevono si esprimono all'unisono, e ciò ha il sapore di una fusione totale, che va oltre il sessuale.
Violette ama Simone, glielo dichiara, non se ne vergogna. E continua ad amarla nonostante il suo rifiuto, non cerca palliativi, né cede al ricatto dell'eterosessualità obbligatoria. Non accetta compromessi col patriarcato e, quando si ritrova ad impersonare una madre per un cortometraggio, abbandona il set in preda a isteria e disgusto. Il suo sentire mette drasticamente in discussione l'equazione donna-eterosessuale-madre tanto che, in preda allo sconforto, aggredisce la propria madre, che scioccata le chiede “Ma che ti ho fatto?”.Violette, tra le lacrime, risponde “Mi hai fatta”, come a voler sottolineare qualcosa di morboso e innaturale insito nell'atto della procreazione. Quale miglior messaggio rivoluzionario e lesbofemminista?
Violette pubblica Ravages(1955), testo scandaloso per l'epoca, in cui descrive anche la sua esperienza di aborto dopo una relazione con un uomo, il romanzo viene definito da Simone “l'unico romanzo scritto da una donna che parla liberamente di sessualità e desiderio”.
Provost non giudica e non censura. Rappresenta con profondità psicologica e rigore artistico anche la scelta di isolamento di Violette, che si autoesilia nelle campagne provenzali e si consacra esclusivamente alla scrittura, al sogno, all'autoerotismo. Un' autarchia lesbica senza pari, autentica celebrazione dell'autonomia del soggetto lesbico rispetto alle rappresentazioni mimetiche dell'eterosessualità.
Violetterappresenta un momento di grande cinema, dove l'arte non coincide col ronzare frenetico della telecamera intorno ai corpi dei personaggi, ma piuttosto con la messa a fuoco dei loro desideri attraverso flussi di coscienza - anche onirici - che rendono perfettamente il turbinio delle emozioni, anche in un solo incrocio di sguardi.
Il regista non si mimetizza narcisisticamente con i personaggi, non fa di loro i suoi portavoce o alter ego ma si colloca a debita distanza per poter veicolare con lucidità ed autenticità il loro sentire altro, per offrire una visione di insieme che renda giustizia all'infinito potenziale sovversivo e terribilmente umano della loro complessità.

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Doris Lessing flash

November 18, 2013, 4:12 am
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di Paola Guazzo

Anni della mia gioventù. Anni Ottanta. Si cercavano sempre furibondamente testi che parlassero di noi. Testi "identitari", certo, perché noi non esistevamo. Cercavamo libri, soprattutto anglosassoni e francesi, dove fossimo nominate, dove avessimo vite di personaggi lesbici. E questo, insieme ad altri, è uno dei motivi per cui oggi storco un po' il naso quando sento parlare (troppo) di politiche post-identitarie.
Ma torniamo là, nel deserto del desiderio anni Ottanta in cui, tuttavia, qualche piccolo fiore cominciava a spuntare.
La mia amica Paola, ragazza che oggi definiremmo "etero dissidente", grande lettrice di romanzi femminili mi dice: - C'è una lesbica veramente forte nell'ultimo romanzo di Doris Lessing -.
Non ricordo nemmeno bene in quale. Credo fosse Se gioventù sapesse.
In effetti ci trovo qualcosa, qualcuna. Ricordo questa bella personaggia vitale, sempre vestita in abiti colorati, esuberante, molto dentro il suo corpo "femminile", qualsiasi cosa voglia dire. Mi piace. Trovo tutto questo brioso, non stigmatizzante, un piacere luminoso e in un qualche senso anche numinoso. Tali appaiono le scie dei piaceri condivisi nella gioventù. Grazie, Doris, I will never forget you.
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Violette Leduc. Biografia

November 18, 2013, 5:05 am
≫ Next: "Sei lesbica. Per te niente mancia"
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di Rosanna Fiocchetto

Nata il 7 aprile 1907 a Arras, Violette Leduc fu il soggetto di quasi tutte
le sue opere, un soggetto lesbico svantaggiato e alla disperata ricerca di
riscatto e di amore. Figlia illegittima di madre povera con la quale ebbe un
difficile rapporto, profondamente segnata da una infanzia infelice a causa
del suo sgradevole aspetto fisico, dei disagi della prima guerra mondiale, e
della sua condizione sociale ed economica, Violette incontrò sulla sua
strada la passione nel collegio di Duoai, con una compagna di classe, e poi
con una insegnante di musica che per questo venne licenziata. Nel 1926 si
trasferi' a Parigi per iscriversi al liceo Racine, ma dopo un esame di
maturità fallito rinunciò allo studio e riusci' a trovare un posto di
centralinista e segretaria presso l'editore Plon, che in seguito divenne un
impiego di redattrice. La sua relazione con relazione con Denise Hertgès
(Hermine in "La bastarda") durerà sino al 1935. Nel 1932 cominciò a scrivere
racconti e articoli, incoraggiata dallo scrittore omosessuale Maurice Sachs,
del quale si innamorò: uno dei suoi ricorrenti "amori impossibili" per
uomini gay e donne che non la ricambiavano pienamente, fra cui Simone de
Beauvoir e Jean Genet. Nel 1939 lo sconforto affettivo la spinse ad una
scelta autolesionista: il matrimonio con Jacques Mercier, da cui si separò
subito, divorziando dopo la seconda guerra mondiale. Durante la guerra si
trasferi' in Normandia, accumulando una piccola fortuna con il mercato nero,
ma la perse a guerra finita e venne anche imprigionata per un breve periodo.
L'incontro con Simone de Beauvoir nel 1945 fu determinante per le sue sorti
di scrittrice: Simone lesse il manoscritto del suo primo romanzo,
"L'Asphyxie", e l'aiutò a pubblicarlo nel 1946. In "L'Affamée" del 1948
Violette raccontò la sua ossessiva e divorante passione per la grande
filosofa e scrittrice esistenzialista, che pur non ricambiandola le offri'
una solida stima per le sue capacità letterarie e una sincera amicizia (fino
al 1964 la sostenne anche finanziariamente con un assegno mensile). Grazie a
lei Violette continuò a pubblicare: "Ravages" (1955), "La vieille fille et
le mort" (1958), "Trésors à prendre" (1960). Il successo arrivò con "La
bâtarde" (1964).
"La bastarda" vinse il prestigioso premio Goncourt, diventando un
bestseller, e consenti' a Violette di comprare una casa a Faucon, nella
regione di Vaucluse. Leduc, più libera di dedicarsi alla scrittura, pubblicò
"La femme au petit renard" (1965), "Thérèse et Isabelle" (1966) e "Le taxi"
(1971), proseguendo inoltre la sua autobiografia con "La folie en tête"
(1970) e "La chasse à l'amour" (1973). Malata di un cancro al seno, dopo due
operazioni Violette Leduc mori' il 28 maggio 1972. La sua scrittura
scandalosa ed estrema costitui' un importante stimolo per le scrittrici
lesbiche francesi delle generazioni successive, fra cui Françoise
d'Eaubonne, Monique Wittig, Michèle Causse, Nina Bouraoui. La scrittrice
lesbica canadese Jovette Marchessault le ha dedicato il dramma "La terre est
trop courte, Violette Leduc" (1981).

Rosanna Fiocchetto

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"Sei lesbica. Per te niente mancia"

November 18, 2013, 5:22 am
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16-11-2013 - Il Gazzettino -
"SEI LESBICA, PER TE NIENTE MANCIA".
Il web s'infuria
TRENTON - Una cameriera, a cui spettavano 10 dollari di mancia, ha avuto una brutta sorpresa, quando sullo scontrino è stata attaccata dal cliente per il suo orientamento sessuale. La protagonista della brutta avventura è Dayna Morales, un ex marine a cui piacciono le donne, che lavora presso l'Asia Bistrò di Bridgewater, nel New Jersey, dove sullo scontrino un cliente ha scritto: "Mi dispiace, non lascio nessuna mancia perché non condivido il tuo modo di vivere".

LA RETE La ragazza, sconvolta e indignata, ha pubblicato su Facebook lo scontrino fiscale, provocando una reazione che nessuno avrebbe immaginato: da tutti gli States sono arrivate messaggi di inviti e supporto, oltre a 1.200 dollari di donazioni arrivate attraverso PayPal. L'immagine dello scontrino è stata condivisa da migliaia di utenti, tanto che la stessa Morales è rimasta scioccata dall'affetto del web.
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La vie d'Adèle. Punto e a capo?

November 19, 2013, 4:17 am
≫ Next: Matrimonio alle Hawaii ( e non è un cinepanettone )
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L'aver fatto blocco contro una ricezione acritica e talora entusiastica de La vie d'Adèleè una delle soddisfazioni "personali" di questo blog. Siccome guazzington post, a dispetto del suo ironico nome, non è una persona, ma più persone, snodi e collegamenti diciamo che è stata anche una soddisfazione politica. Il post http://guazzingtonpost.blogspot.it/2013/10/la-vie-dadele-anteprima-con-nausea.html su La vie d'Adèle in anteprima francese ha avuto finora più di 4300 visite, ed anche altri sul tema sono stati molto letti e discussi qui e sui social network.
Non vorremmo che si pensasse che ci importa di una non meglio determinata "egemonia culturale": dietro questo noi ci possono essere più persone, può essere un plurale majestatis di Paola Guazzo (concedeteglielo, è un premio alla "carriera", anche a quella futura :-) ) e ci possono essere due persone, come nel caso del post su La vie d'Adèle. Sfatato, speriamo che qualcuna se ne sia accorta, il balordo tabù che una coppia non possa scrivere insieme, che non faccia bello in non meglio determinati salotti e assemblee lesbiche. Ma il guazzington post, in tutta la sua presunzione, pensa che se lo hanno fatto Deleuze e Guattari con brillanti risultati anche senza fare sesso, non vedo perché non possiamo-dobbiamo farlo NOI.
Altre sono le "egemonie culturali" tentate in questi vent'anni nel mondo delle lesbiche politiche e non. Con metodi, toni e voci completamente differenti da due voci scioccate ma energiche che cercano di andare subito a casa, dopo aver visto in anteprima La vie d'Adèle in un cinema francese, per scriverne in italiano alle italiane, per avvertirle di uno tsunami marketing sulla loro pelle, per farle riflettere prima che il coro delle voci trionfalistiche dei media si ergesse e coprisse ogni rumore non omologo ai suoi cori. Se c'è, in questo blog, un'impostazione egemone, è solo quella di una pionieristica generosità. Ci rendiamo però perfettamente conto che, in tempi di egemonie culturali fallite, anche questa voce possa rappresentare un problema. Ma non è un nostro problema. Nessuna impedisce a nessuna di creare strumenti di comunicazione efficaci, il web è per sua natura plurale.
"Ne abbiamo avute di occasioni, perdendole", come nella canzonetta di Battiato, non è il motto di questo blog. Noi abbiamo avuto poche occasioni, ma non le abbiamo mai perse.
Non intendiamo, men che mai, perdere questa. Dal grande dibattito su La vie d'Adèle sorge la consapevolezza di un punto di non ritorno. Se vediamo troppe lesbiche entusiaste di un film che le riporta agli anni sessanta non dobbiamo dare generiche colpe ai 20 anni di berlusconismo o alla cultura patriarcale o quant'altro. Loro sono quello che sono. Siamo noi che dobbiamo essere consapevoli del nostro presente ed agire in esso.
Potrebbe, a partire dal film ma non necessariamente ancora sul film, nascere un gruppo di riflessione? E' il tempo per un manifesto politico e culturale nuovo? Per ora solo domande, baluginii nel buio. Chiediamo a voi (e a "noi"): quante libbre di cuore potreste metterci?
Ma per ora non spaventatevi. Mandiamo solo dei link.
Un grazie speciale a Brabarx Riot, Elena Basile e Federica Palazzi Arduini  per le segnalazioni.

Fra 18 recensioni in inglese su La vie d'Adèle solo 3 firmate da donne, leggere per credere
http://www.vulture.com/2013/10/critics-on-blue-is-the-warmest-colors-sex-scene.html
Questi sono commenti da sbellicarsi
http://jamiatt.tumblr.com/post/67419583547/eileen-myles-realllly-hated-blue-is-the-warmest
Federica Palazzi Arduini  brillantemente tira le somme dello scempio "poiché nella nostra società la fantasia è già al potere, ma non è la nostra, e non lo è per gioco"
http://www.culturagay.it/recensione/1353
Infine, il divertentissimo contro-film: llesbiche filmate mentre guardano La vie d'Adèle http://www.youtube.com/watch?v=rIjJ_VtU9PA#t=31










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Matrimonio alle Hawaii ( e non è un cinepanettone )

November 22, 2013, 3:14 am
≫ Next: #sapevatelo Manzoni ha profetizzato la No Tav
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Dopo una lotta ultraventennale, le Hawaii sono diventate il quindicesimo stato americano a legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Il governatore dello stato Neil Abercrombie si è rivolto alle coppie lesbiche e gay del resto del mondo, invitandole a venire a celebrare le loro nozze alle Hawaii, dicendo: "Il Paradiso vi aspetta". E' noto, infatti, che i matrimoni lesbici e gay, una volta superato il pregiudizio, si rivelano un affare: il sindaco di New York Bloomberg aveva riferito nel 2012 che nell'anno successivo alle legalizzazione avevano portato nelle casse della città 259 milioni di dollari in turismo e tasse.
La lotta per la piena uguaglianza di matrimonio nelle Hawaii è cominciata nel 1990 ad opera di due donne lesbiche, Ninia Baehe e Genora Dancel, che hanno fatto causa allo stato per ottenere il diritto di unirsi.
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#sapevatelo Manzoni ha profetizzato la No Tav

November 22, 2013, 12:02 pm
≫ Next: La dea nell'antica Britannia
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Nell'Adelchi, tragedia del 1822, ai versi 4-5, si legge infatti:

"(...) all'arduo muro
che Val di Susa chiude, e dalla franca
La longobarda signoria divide,

Come imponeste, noi ristemmo (...)"

E poi dicono dei Maya e di Nostradamus! 
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La dea nell'antica Britannia

November 27, 2013, 3:22 am
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Kathy Jones

La Dea nell’antica Britannia
Miti, leggende, siti sacri

Ed. Psiche 2, Torino

"Questo libro è il risultato di una ricerca appassionata, nelle leggende e nel paesaggio, dell’Antica Dea delle Isole Britanniche, o Isole di Brigit.
Attingendo alla mitologia e alle tradizioni ancora vive (inglesi, gallesi, scozzesi e irlandesi) e poggiando su testicome il Mabinogion, il libro esplora i volti della Dea come Fanciulla, Amante, Madre e Crona e le sue associazioni con la Terra, l’Acqua, il Fuoco e l’Aria.
I Suoi nomi, a volte familiari, a volte riemergenti dopo un lungo silenzio, formano la Ruota dell’Anno di Britannia e ad ognuna delle otto direzioni vengono associate qualità, elementi, colori, poteri, animali e alcuni Dei, esplorati in tutti i loro aspetti.
“Il nostro viaggio ci conduce dal mondo naturale dei nostri antenati paleolitici attraverso i paesaggi sacri dell’età neolitica, quando cumuli, lunghi tumuli, megaliti e cerchi di pietre furono edificati tra il VI e il III
millennio P.E.C. Tesseremo le fila che collegano le nostre antenate e antenati neolitici devoti alla Dea e le leggende dei guerrieri celti. Porteremo queste storie nel presente, raccogliendo ispirazione e conoscenza
mentre esploriamo il lavoro delle donne creative di oggi che adorano la Dea … Osserveremo in profondità la mitologia e i paesaggi della Dea che sono connessi ai quattro quarti delle festività del Sole di Imbolc, Beltane,Lammas e Samhain, che sono i momenti dell’anno in cui la Dea era tradizionalmente  onorata nel passato e nei quali viene celebrata di nuovo oggi”.

Kathy Jones è scrittrice, guaritrice, insegnante, cerimonialista e Sacerdotessa di Avalon. Vive e lavora a Glastonbury/Avalon, dove è cofondatrice del Tempio della Dea e della Fondazione dell’Isola di Avalon, che ogni anno organizza l’International Glastonbury Goddess Conference, oggi giunta alla sua diciassettesima edizione.
Nel 1992 ha pubblicato Spinning the Wheel of Ana. A spiritual quest to find the British Primal Ancestors e nel 2006 Priestess of Avalon, Priestess of the Goddess. A renewed Spiritual Path for the 21th Century, il testo che disegna il percorso di formazione e riconnessione con la Dea, riscoperta per essere attualizzata e fruita dalle donne nel nostro presente.
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La Tarantina

November 27, 2013, 3:37 am
≫ Next: Coscienza illusoria di sé a Trieste
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La vita vera di un femminilello napoletano
Dai quartieri spagnoli alla dolce vita romana, la storia di un femminiello napoletano, Carmelo Cosma detto la Tarantina

Elisabetta Colla

Dai quartieri spagnoli alla dolce vita romana, la storia di un femminiello napoletano, Carmelo Cosma detto la Tarantina, è raccolta dalla brava saggista e documentarista Gabriella Romano sempre attenta a temi di ‘generi’. “Decidere di parlare apertamente del proprio passato è stato finora una completa eccezione nel panorama della cultura gay-lesbo-trans italiana soprattutto per chi appartiene alle generazioni nate prima della Seconda Guerra mondiale, quindi il fatto che la protagonista del libro abbia deciso di farlo è di per sé significativo e in qualche modo è un segnale di un cambiamento profondo: il muro di silenzio si è, negli anni, sgretolato, si diffonde una cultura del coming-out, la cultura glbtq italiana si racconta sempre di più”. Finita la guerra la Tarantina si trasferisce a Roma, per vivere pienamente e liberamente la sua ‘dolce’ vita in un periodo di grande euforia che lei ricorda così: “D’improvviso la guerra ci sembrò lontana, ci scrollammo di dosso la polvere, la fame, la fatica del dopoguerra, per la prima volta alzammo gli occhi e guardammo avanti. A quei tempi Roma era una calamita, tutti sognavano di vivere nella città del cinema, la capitale della mondanità di cui leggevamo sui rotocalchi”. Ma la vita della Tarantina non è stata segnata solo da incontri, amicizie, amori (anche con note personalità della scena romana del tempo) e momenti festosi, ma anche da precarietà, sofferenza e abbandono (nell’intervista parla liberamente sia delle esperienze di carcere a Poggio Reale sia del rifiuto da parte della famiglia). “La verità che emerge da queste pagine - conclude l’autrice - è che il passato della comunità glbtq italiana è fatto di storie straordinarie, commoventi, spesso di vero ed autentico eroismo”. Il libro è completato da un saggio di Eugenio Zito, psicologo e dottore di ricerca in Studi di Genere, dal titolo Femminielli: c’era una volta a Napoli?, che descrive come il “formarsi di un genere altro, che integra femminile e maschile (…) fenomeno presente in molte culture e in quasi tutte le epoche storiche’, a Napoli assunse delle caratteristiche ‘proprie’”.


La Tarantina e la sua “dolce vita”
Racconto autobiografico di un femminiello napoletano
Raccolto da Gabriella Romano con un saggio di Eugenio Zita
Ed Ombre corte, pagg 107, euro 10,00


Fonte:
http://www.noidonne.org/articolo.php?ID=04618
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Coscienza illusoria di sé a Trieste

November 27, 2013, 8:43 am
≫ Next: Anita Berber, storia di un'icona lesbica nella Repubblica di Weimar
≪ Previous: La Tarantina
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VENERDI' 29 NOVEMBRE 2013
ORE 18.00
Casa del Popolo di via Ponziana 14-Trieste
LUISA BARBA E GENI SARDO del Coordinamento Donne Trieste
presentano il libro di
ELISABETTA TEGHIL
"Coscienza illusoria di sé"
....Dominio reale del capitale significa assoggettamento della coscienza individuale delle donne ai programmi di comportamento patriarcali; è il trionfo della"coscienza illusoria di sé", una catena che va spezzata e si può spezzare solo ponendo le proprie pratiche sociali in rapporto antagonistico con l'intera società borghese patriarcale...
sarà presente l'autrice
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Anita Berber, storia di un'icona lesbica nella Repubblica di Weimar

November 27, 2013, 8:51 am
≫ Next: Scusa ma ti chiamo Marie-France
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di Rosanna Fiocchetto

Danzatrice e attrice espressionista tedesca del cinema muto, Anita Berber
nacque il 10 giugno 1899 a Leipzig, figlia del violinista Felix Berber e
della cantante di cabaret Lucie Thiem. Dopo il divorzio dei genitori nel
1902, Anita dal 1906 venne allevata dalla nonna a Dresda e a Berlino. Studiò
teatro e danza con Maria Moissi e Rita Sacchetto, con la quale debuttò
professionalmente nel 1916, facendo anche la modella per le riviste
femminili "Die Dame" e "Elegante Welte". Il suo stile esotico, la sua nudità
spesso integrale durante le esibizioni e la sua personalità scandalosa e
trasgressiva da "bella e dannata", che includeva un ampio uso di droghe, la
resero presto famosa nella Berlino della repubblica di Weimar.
Tra il 1918 e il 1925, oltre a ballare nei cabaret e nei locali notturni,
apparve in 27 film e documentari muti, tra cui "Das Dreimäderlhaus" ("La
casa delle tre ragazze", 1918) e "Unheimliche Geschichten" ("Un affare
misterioso", 1919) del cineasta Richard Ostwald (che la scritturò anche per
pellicole di educazione sessuale sulla prostituzione e sull'omosessualità),
"Il dottor Mabuse" (1922) di Fritz Lang, e "Tänze des Grauens" ("Danza
moderna", 1923).
Amica intima del sessuologo Magnus Hirschfeld, Anita sposò uomini gay ed
ebbe contemporaneamente numerose relazioni lesbiche. Nel 1919 sposò
l'artista Eberhard von Nathusius, separandosene nel 1922. Subito dopo
cominciò una relazione aperta, convivendo con lei, con Susi Wanowsky,
proprietaria del club lesbico "Garçonne". Il suo secondo matrimonio con il
ballerino e scrittore Sebastian Droste fu molto breve, dal 1922 al 1923,
parallelo alla relazione con Susi. Con Droste, Anita mise in scena
inquietanti balletti decadentisti ("Danza delle fruste bizantine",
"Cocaina", "Suicidio", "Visione", "La notte della Borgia") e pubblicò un
libro di poesie, foto e disegni intitolato "Die Tänze des Lasters, des
Grauens und der Ekstase" ("Danze di vizio, orrore ed estasi").
Nel 1924 Anita sposò un altro ballerino gay, l' americano Henri
Chatin-Hoffman, e con lui girò l'Europa in un turbolento sodalizio
artistico. Nel 1925 il pittore espressionista Otto Dix la rappresentò  in un
celebre ritratto come vampiresca creatura notturna in rosso; anche la famosa
pittrice tedesca secessionista Charlotte Berend-Corinth (1880-1969) la
scelse come soggetto di un suo quadro.
Nel 1926, durante uno spettacolo in Olanda, l'abuso di alcol e cocaina le
provocarono un collasso che la spinse a cercare rifugio e cure presso il suo
amico Hirschfeld. Riprese a ballare, ma si ammalò di tubercolosi. Nel corso
di una tournée in Medio Oriente, svenne sul palcoscenico a Damasco nel
luglio 1928 e dovette tornare a Berlino, dove morì nell'ospedale Bethanien
di Kreuzberg il 10 novembre 1928, a 29 anni, probabilmente per una overdose:
nella sua stanza vennero trovate siringhe vuote. Al suo funerale
parteciparono prostitute della Friedrichstrasse, transessuali dell'
"Eldorado", lesbiche, artisti e intellettuali famosi.
Il film di Rosa von Praunheim del 1987 "Anita - Tänze des Lasters" (scritto
da Marianne Enzensberger e Lotti Huber) e varie biografie (tra cui quella
romanzata di Leo Lanias "Der Tanz ins Dunkel - Anita Berber" del 1929, "The
Seven Addictions and Five Professions of Anita Berber: Weimar Berlin's
Priestess of Depravity" di Mel Gordon nel 2006, e "Anita Berber - Göttin der
Nacht" di Lothar Fischer) hanno reso omaggio a questa icona del maledettismo
queer, sottraendola all'oblio che ha cancellato anche la sua sepoltura.

Rosanna Fiocchetto
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Scusa ma ti chiamo Marie-France

November 28, 2013, 1:08 am
≫ Next: Scusa ma ti chiamo Marie-France, 2
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Paola Guazzo e Manuela Menolascina

I – Pierre Feu


Giocavano eternamente alla petanque, le bocce di ferro locali, sulla piazzetta dell'Ayguade.
Unico luogo di socialità mista nel sobborgo spiaggiato provenzale. Là, le muscolose tatuate potevano ancora spadroneggiare, ma dentro il Baraza le donne non osavano mai avventurarsi dopo le cinque dell'après-midi.
Baraza si pronunciava come Bar Hazard, il Bar Caso; ma non era il caso a muovere i piedi di cameriere di Pierre Feu. Pierre, come la pietra solida e angolare dell'“on est chez nous”. Feu come la fiamma sempiterna del Front National-Rassemblement Bleu Marine.
Pierre era dotato di capelli bisunti e raccordati con gel Carrefour in un improbabile riporto alla française. Si aggiunga un nasetto impertinente e la tipica allure da jeunesse “oui, la France”; un maialino leghista bergamasco, avete presente?
Pierre Feu era esaltatissimo, quel mattino, tra un bonjour e un pastis, e annunciava festoso:
“Mi candido per il Fronte. Mi candido per Marine!”alla folla cianciante di anziani en retraiteche frequentavano il Baraza, pronti a fottersi gli ultimi franchi (ooopss, c'è l'euro, abbasso !!) alle corse dei cavalli.

II-Marie-France

Marie-France, un nome che l'aveva malheureusement segnata per tutta la vita.
La madre, Marie -Laurence, gollista indefessa nonché amica personale di Bernadette Chirac , l'aveva chiamata così per par condicio con l'ala femminile più destrorsa del partito, impersonata dall'impeccable Marie-France Garaud. Garaud, come il Garuda dei Veda, l'aquila che il mondo ( francofono, bien sur) creò. Garuda non gioca a dadi, Garuda non gioca ai cavalli al Baraza ma alla petanque sì, e il karma non è acqua.
Anfatti, anvedi (... o anveda?): Marie-France era venuta su comunista. PCF, tendenza Mélenchon ,ma le restava un amore imperituro per i perfetti tailleur in stile Marie-France Garaud, la déesse.
Dal suo salotto con vista di Hyères Centre guardava la plaga nazional-populista sottostante cuocere nel proprio brodo, e tartiflette, e moules frites.
Si sedette sul canapé italiano, ben attenta alle pieghe - anche moindres - de son pétillant tailleur, quindi accese un cubano, dono personale di Mariela Castro, e pensò:
“Je vais vous foutre, sans aucun doute, je vais devenir la première maire femme et communiste de cet endroit hanté par le FN”. (Trad. it. di traduttrice poco dotata per la francofonia : " Vi fotterò senza dubbio alcuno, vado a divenire la prima sindaco femmina di questo luogo infestato dal Fronte Nazionale").
Salì sulla sua bagnole, su cui campeggiavano, comunque, non la falce e martello bensì un gagliardetto del Toulon Rugby Club ( motto: Parce que Toulon) e un adesivo ble-blan-rusg (blu-bianco-rosso... tricolore!). Raggiunse compostamente la sede del Partito.


Fine prima puntata  
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Scusa ma ti chiamo Marie-France, 2

November 29, 2013, 8:13 am
≫ Next: Love is right a Roma il 7 dicembre
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seconda puntata

III Moi, l'Italienne

Lo ammetto. Seguire il modello transalpino Concia-Ricarda forse è stata una tentazione. Si aggiunga anche una certa mia faiblesse verso i valori tradizionali della Famiglia? E come avrei potuto altrimenti, con un padre colonnello di Finanza coinvolto in tangentopoli e una madre regina dello shopping in via Montenapoleone ai bei tempi? Napoleone, già allora era parte di me. Che romantica.
O è stata la tentazione di farmi un bel matrimonio all'Ile du Levant come le due fortunate immortalate dalle pagine di "Var Matin"? O ancora l'irresistibile tentazione di far schiattare le mie ex compagne italiane, che ancora si sfrangevano di ditalini mentali pensando che il Pd un giorno avrebbe loro concesso cose che in Europa esistevano ormai da decennI?
Un mix di toutes LEZ choses, credo, e bien sur de l'amour, anche se vi assicuro che il secondo fattore con i matrimonii, sia etero che homo, non ha poi così tanto a che fare.
Sophie, la mia futura moglie, non vedeva l'ora di far schiattare la sua pletora di ziette devote a Najat Vallaud-Belkachem con una lista nozze da zona mito, incluso ovviamente un resort all lesbian à la Nouvelle Caledonie.
The sun, a drink, you in the sand... non erano forse le parole di desiderio di Arizona
, la mia eroina di Grey's Anatomy, che copiavo in tutto? 
Un giorno, slegandomi piano da una complicata serie di nodi marinari à la Française che Sophie aveva appena sperimentato su di me, dissi - Va bene, facciamo come vuoi tu. -
Così cominciò la mia Waterloo.

( à suivre )  

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Love is right a Roma il 7 dicembre

December 4, 2013, 1:42 am
≫ Next: Karl Lagerfeld come Maestro. Su Photo-photo di Marie Nimier
≪ Previous: Scusa ma ti chiamo Marie-France, 2
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OMOFOBIA/ "LOVE IS RIGHT", ASSOCIAZIONI LGBT  IL 7 DICEMBRE A ROMA PER I DIRITTI DI GAY, LESBICHE E TRANS
"Governo Letta inadeguato alla sfida dei diritti". Appuntamento alle 15 in Piazza dei Santi. Apostoli. Organizzati pullman da diverse regioni.

Bologna, 3 dicembre 2013 - Visto lo stallo delle istanze lgbt nel dibattito politico italiano, aggravato dal silenzio delle istituzioni del nostro Paese dinanzi alle condotte anti-gay messe in campo in territori prossimi al nostro, numerose associazioni che compongono il movimento lgbt (Arcigay, Arcilesbica, Agedo, Famiglie Arcobaleno, M.i.t., Associazione radicale "Certi diritti", Equality Italia) hanno indetto persabato 7 dicembre 2013 a partire dalle 15 una manifestazione nazionale a Roma, in piazza dei Santi Apostoli, dal titolo "Love is right".


È inaccettabile il totale disinteresse che il Governo italiano mette in campo in tema di diritti delle persone lgbt, e più in generale dei diritti umani. Col silenzio il Governo ha risposto ai nostri appelli in concomitanza del vertice a Trieste tra Italia e Russia al quale ha preso parte il presidente Vladimir Putin, promotore di norme persecutorie nei confronti delle presone gay, lesbiche e trans. Nessuna reazione neanche quando la Russia, nei giorni scorsi, ha investito l'Italia del primato di interlocutore esclusivo in tema di adozioni internazionali di bambini russi, un'alleanza stretta proprio in virtù del mancato riconoscimento in Italia delle famiglie omogenitoriali. E ancora: nemmeno un fiato dal Governo italiano, e poche le voci isolate dal Parlamento, sul referendum tenutosi domenica scorsa in Croazia e che ha visto esprimersi una maggioranza (molto relativa, visto che solo il 36% degli aventi diritto ha votato) a favore di un emendamento della carta costituzionale che escluda il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Un fatto estremamente allarmante che  rappresenta il concretizzarsi della dittatura delle maggioranze teorizzata da Tocqueville. Può il diritto di una minoranza essere sottoposto al voto di una maggioranza? Qual è il limite di questa deriva pilatesca dei sistemi democratici europei che riducono la politica a uno strumentale sondaggio, in contesti di profonda ignoranza opportunisticamente alimentata, delegittimando di conseguenza organi e istituzioni che sono in realtà la spina dorsale della democrazia? Può, uno strumento democratico come il referendum, essere utilizzato per imporre il volere di una maggioranza sulle condizioni di vita di una minoranza?
L' Italia è tra i protagonisti di quell’ondata che lambisce l'Europa: l'arretratezza del nostro paese in tema di diritti delle persone LGBT non preoccupa minimamente il Governo, sordo ai ripetuti appelli della comunità lgbt. Sul versante parlamentare si è aperta in Commissione Giustizia del Senato la discussione sul testo di legge Scalfarotto-Verini-Gitti contro l'omotransfobia, provvedimento anacronistico ed inadeguato, che malgrado le buone intenzioni di alcuni, sembra lontano dalla possibilità di un miglioramento. Pochi e assolutamente insufficienti, poi, i progressi dei  progetti di legge per il riconoscimento delle coppie lgbt, prodotti in gran numero all'indomani del verdetto delle urne, sull'onda dell'ormai consueta e sempre sterile propaganda elettorale fatta sulla pelle delle persone lgbt, ma da allora rimasti intrappolati nelle sabbie mobili della politica italiana. Nessun dibattito è stato poi aperto sulle persone transessuali, vero e proprio bersaglio in quest'Italia imbarbarita, né sul superamento della legge 40 sulla procreazione assistita, l'ostacolo evidente che la lobby clericale in questo Paese ha posto alla realizzazione del desiderio di genitorialità per tutte e tutti.

Il Governo Letta, insomma, si mostra totalmente inadeguato a  confrontarsi con temi di questa portata e nel contempo questo Parlamento ha perso qualsiasi ambizione a rappresentare le persone lgbt e dar voce alle loro istanze.


Per le persone lesbiche, gay e transessuali, e per coloro che vogliono uscire dal medioevo culturale di questo Paese, l'unica strada è portare avanti con coerenza e dignità un progetto che chiede uguaglianza di diritti, riconoscimento giuridico e sociale delle relazioni, la salvaguardia dell'integrità individuale, di coppia e collettiva. Il tempo dei diritti è questo e nessun compromesso e dilazione sono accettabili.
Le associazioni che compongono il movimento lgbt hanno scelto di scendere in piazza per rivendicare un sistema di leggi che garantisca le libertà, l'autodeterminazione, i diritti civili!

    •    Vogliamo una reale estensione della legge Mancino che contrasti la discriminazione omofobica SENZA SCONTI PER NESSUNO!
    •    Il matrimonio egualitario per le persone omosessuali
    •    Altri istituti che tutelino le coppie di fatto lesbiche, gay ed etero
    •    Riconoscimento e tutela della genitorialità omosessuale
    •    Il cambio dei dati anagrafici senza l'obbligo di interventi di riattribuzione dei genitali per le persone transessuali
    •    La riscrittura della legge 40

La manifestazione verrà condotta sul palco da Vladimir Luxuria e vedrà alternarsi gli interventi dei rappresentanti delle associazioni, di volti noti del mondo dello spettacolo e di storie di vita e di diritti negati dalle voci di cittadini e cittadine gay, lesbiche e trans.
Hanno già aderito, tra gli altri, le attrici Maria Grazia Cucinotta, Ottavia Piccolo  e Claudia Gerini, la conduttrice radiofonica La Pina. Sono stati organizzati vari pullman dal Veneto, dall'Emilia Romagna, dalla Puglia, dalla Campania, dalla Toscana, da Torino, da Genova, da Milano, da Trento: per informazioni consultare il sito Loveisright.it

Flavio Romani - Arcigay
Paola Brandolini - Arcilesbica
Giuseppina La Delfa - Famiglie Arcobaleno
Fiorenzo Gimelli - Agedo
Porpora Marcasciano - M.i.T. (Movimento identità transessuale)
Aurelio Mancuso - Equality Italia
Enzo Cucco - Associazione radicale Certi Diritti

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Karl Lagerfeld come Maestro. Su Photo-photo di Marie Nimier

December 4, 2013, 8:36 am
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Marie Nimier
Photo-photo
Gallimard, 2010
recensione di Paola Guazzo

Karl Lagerfeld come mentore psicologico, persino direi esoterico, di un incontro lesbico a Baden-Baden.
Un romanzo  postmoderno che - sebbene io non adori il postmoderno - mi è piaciuto molto. Un delirio di foto e disegni, di "evaporat* dal destino", fra Parigi, Normandia e le terme di Baden-Baden. E come maestro di cerimonie il Creatore, il Re del Mondo, la Maison Dieu
-Lagerfeld. Non è un libro sciocco sulla vita delle modelle, come potrebbero capire gli italiani, bensì sull'incontro fra due anime femminili affini.
Chapeau. Il tutto come se step inusitati fossero possibili, e l'esistenza un Grande Gioco, un Gioco nel Mondo e del Mondo. Solo per chi legge il francese. In italiano, ovviamente, non è stato tradotto. God bless amazon.fr
Voto: 7 e mezzo.
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